Nel luglio del 1873 Gustave Courbet varcava i confini francesi per rifugiarsi in Svizzera e sottrarsi alla richiesta di risarcimento per la distruzione della colonna Vendôme all’epoca della comune parigina. Fatto oggetto dell’iconoclastia comunarda a causa del suo significato bellicistico, il monumento napoleonico fu abbattuto su suggerimento del celebre pittore francese, sul quale gravò la responsabilità morale e finanziaria dell’avvenimento. Da qui la fuga.
I quattro anni di esilio elvetico che precedettero la morte del pittore, sprofondati nell’oblio di un tempo già lontano, sono la cornice entro cui David Bosc tratteggia La chiara fontana, un romanzo biografico per nulla convenzionale, in cui, invece che affidarsi alla mera ricostruzione dei fatti, l’autore rievoca tramite immagini poetiche la figura di Courbet, disegnandone un ritratto pittorico, ispirato più dal suo soggetto che da fonti reali.
"La chiara fontana" narra l'arte di un'epoca, la forza dei sensi e l'esultanza del corpo. Luglio 1873: il grande pittore realista Gustave Courbet - autore della famigerata "Origine del mondo" al centro di mille scandali - inizia il suo esilio in Svizzera. È stato tra i protagonisti dell'irripetibile stagione della Comune di Parigi e ha contribuito all'abbattimento della colonna Vendôme, simbolo del più tronfio imperialismo.
Approfittando di questo spazio, Bosc riempie il vuoto biografico con tutta la fantasia che il romanzo consente, trasformando gli ultimi anni di vita di Gustave Courbet in un’ode alla vita e alla natura.
L'autore de "L'Origine del mondo" è un piacente orco rabelaisiano, perciò Bosc adatta la sua scrittura all'immagine del personaggio: golosa e gioiosa. Le parole traboccano dalle pagine come laute pietanze di un pasto pantagruelico, immerse nella pasta dei colori di una tavolozza fatta di acqua dolce, vino e voluttuosi corpi femminili.
Courbet è un panciuto bon vivant dalle maniere semplici, gioioso, amante del goliardico e allergico al danaro. Beve, mangia e festeggia a ogni pagina. A dispetto della stazza non fa altro che correre e nuotare nudo tra le acque lacustri, tra le pozzanghere e soprattutto tra i fiumi di vino bianco, sempre circondato dai suoi "familiari", quei piccoli artisti che gli gravitarono attorno anche durante l’esilio, pronti a far la fame e vivere all’addiaccio pur di stare accanto al genio e partecipare, anche in minima parte, alla realizzazione dei suoi capolavori.
Dato il soggetto, Bosc non può che concedere al lettore diverse digressioni nel mondo dell’arte. All'inizio furtivamente, poi le incursioni diventano più lunghe, più intime, mescolando elementi biografici, analisi e poesia. Pittore realista, Courbet disprezza l'orientalismo in voga a Parigi. Preferisce osservare le nuvole, le foglie e i corpi delle donne, un’occasione per il narratore di tradurre i figurativi idilli bucolici di Courbet in pagine ricche di tocchi lirici in cui può sprigionare il suo raffinato talento letterario.
Il romanzo non si limita a celebrare il lato luminoso di Courbet; attraverso una prosa sempre audace, Bosc esplora anche le ombre della sua personalità. La sua manifesta dipendenza dall'alcol, le sue relazioni complesse con le donne e la sua lotta con la malattia sono tutti affrontati con franchezza e compassione.
La sua dieta lo porta inevitabilmente alla cirrosi, accompagnata da ascite, un versamento che gonfia il peritoneo fino all'aberrazione. Il pittore, già imponente, si è visto gonfiare alla fine, fino a esplodere letteralmente nel 1877, anno della sua morte.
Con questo lavoro del 2013, tradotto in Italia da L’Orma nel 2017, David Bosc realizza un ritratto di Courbet ben lontano dallo stereotipo dell’artista maledetto. Rimbaud e Baudelaire, due dei suoi contemporanei, incarnano questa figura cupa, costantemente tenuta a distanza. La povertà e l'alcol non riescono a macchiare la leggerezza di un uomo libero fino alla morte, dimostrando che una terra d'esilio può essere quella di un ritorno alle origini. L'arte non è tutto l'uomo.
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