Una catastrofe si è abbattuta, ma non è dato conoscerne le cause. Si possono solo intuire i contorni sfuggenti di tale evento, frammentati e al di fuori del tempo, lungo una narrazione ermetica in cui l'autore, Bosc, adagia il lettore in un mondo immaginario e metastorico, dai tratti distintamente giapponesi.
La storia si svolge probabilmente nel futuro, ma sono schegge del nostro passato a conficcarsi tra le pagine di Il passo della mezza luna (L'orma), romanzo ambientato in un enigmatico Giappone antico dal sapore retrofuturistico.
Ryoshu e Shakudo vivono innamorati scrivendo e rilegando libri per bambini a Mahashima, ex capitale di un impero ormai in frantumi. Gli abitanti di questa città hanno rinunciato a ogni smania di possesso per riscoprire il passo lento di un presente libero di fluire.
Le colline di "questo Giappone" profumano però di altri luoghi, trasudano di timo, lavanda e caffè, offrendosi al lettore con un'arcana densità di immagini mediterranee, cariche di drammi e abbandoni, in un modo per nulla naturalistico. Ci troviamo a Mahashima, villaggio giapponese fittizio, anche se potremmo essere altrettanto bene in Francia, terra natia di Bosc e, probabilmente, la reale ambientazione metatestuale del romanzo.
L'autore, oscillando sornione tra realismo e poesia in questa cornice al di fuori dello spazio e del tempo, ci narra la vita semplice di Ryoshu, il protagonista, che in questo luogo immaginario, a lungo capitale di un regno del quale nulla sappiamo e nulla sapremo, gode di un’eterea felicità vivendo in un tranquillo villaggio abitato solo da contadini. È un'utopia modesta in cui il potere ha abdicato, dove ognuno ha ricostruito attorno a sé e dentro di sé un mondo più armonioso e, soprattutto, più fraterno. Un mondo ribaltato senza violenza, che trova il suo equilibrio rinunciando a durare per sempre, ci viene detto. A Mahashima abita una povertà gioiosa.
Un giorno Ryoshu, e con lui l'autore, si mette in marcia per contemplare la luna sulla cima delle colline e rivedere i paesaggi della sua infanzia. Di sentiero in sentiero, scalando le colline, affluiscono i ricordi. Nel suo viaggio, sia pellegrinaggio che introspezione, Ryoshu incontrerà esseri spesso misteriosi a cui si avvicinerà attraverso l'arte del racconto. Così, fa la conoscenza di Akamatsu, grande lettore che possiede nella sua biblioteca solo alcuni libri essenziali imparati a memoria e che lo aiutano a vivere, riaffermando il potere della letteratura nel raccontare il mondo, inventarlo anche, sapendo che ogni romanzo è un'utopia.
Attraverso il sortilegio di una prosa dall'incanto lento, la scrittura di David Bosc, in un gioco metaletterario, abbozza lo stile degli haiku, lasciando ampio spazio alla frase poetica; nulla è definitivo, con paragrafi di stupefacente bellezza capaci di evocare le paure eterne degli uomini.
Un libro sorprendente che, avvicinandosi ai grandi testi dell’Estremo Oriente, alla fine incanta e persino ci rende felici, cullandoci in un mondo dove lavoro, riposo e gioie si susseguono al ritmo della poesia giapponese, celebrando la pienezza dell'istante e l'impermanenza delle cose.
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