Inge per chi le stava intorno è sempre stata un’incendiaria
Un vezzeggiativo, Ingemaus, che per noi potrebbe diventare «topolina Inge», in copertina, e poi lei, assorta a sfogliare una rivista, rannicchiata su una poltrona circondata da un caos creativo – lo sguardo perso, sognante, su quella camicia arancio che spicca nel disordine. È lei la protagonista del libro che, con fatica e perizia, Marco Meier ha scritto sulla vita di Inge Schöntal, la donna che sarebbe diventata, col tempo, anche Inge Feltrinelli. Una biografia che ha visto la luce dopo molte resistenze, dopo che tutti i tasselli sono andati al proprio posto, e che Inge stessa non avrebbe voluto che si scrivesse: «Se lo scordi. Sono una persona insignificante», diceva. Salvo poi ricredersi, e affidarsi a Meier perché raccontasse una storia straordinaria.
In una vita, il Novecento e l’invenzione del mondo nuovo. A cinque anni dalla sua scomparsa, la storia di Inge Feltrinelli. Le leggi razziali, i viaggi, la fotografia.
C’è sicuramente qualcosa più in là
Inge Schöntal era nata il 24 novembre 1930 a Essen, nella Ruhr, e questa appena accennata nota biografica riverbera già del destino che di lì a poco le toccherà: un cognome ebreo negli anni trenta. Una caratteristica, quella del suo cognome, che avrà sempre a che fare con la sua identità – in qualche modo ne definisce le vite – e, in questa sua prima, sarà il motivo di scontro con le autorità, con le leggi razziali e con l’amore e la caparbietà della madre. Lei, Trudel, altra donna forte, è la prima che compare in questo dittico che procede su una strada matrilineare, da forza a forza: una madre che difende la figlia perché sia libera, e una figlia che onora la madre rispettando la sua eccezionale libertà.
E se la guerra e il regime portano via a Inge una vita intera – il padre, la scuola, un pezzo di identità –, è ciò che accade dopo a dimostrare che tutta quella sofferenza non è stata sprecata. A vent’anni, dopo essersi trasferita a Gottinga per studiare, decide di proseguire verso nord, verso la città più vivace del dopoguerra: Amburgo. Berlino distrutta, Bonn poco capace di assurgere a capitale, il vero centro vitale della Germania è proprio quella cittadina di porto, dove Inge farà la sua fortuna come fotografa e giornalista.
Esiste davvero il caso o la nostra esistenza è semplicemente costellata da normalissimi eventi di cui basta cogliere il senso?
Si chiede un’appena ventenne Inge quando riguarda le sue tante vite già passate. È stato il caso a portarla ad Amburgo? Sarà il caso a condurla addirittura a Cuba, da Hemingway, che sembra stia per vincere il Premio Nobel? O da Picasso nel suo studio caotico e meraviglioso? Con quegli occhi piccoli ma capaci, come diceva lei stessa, di vedere molto bene, Inge guardava al mondo da una prospettiva così dinamica e selvaggia che in questo libro – nonostante i tentativi di Meier di essere oggettivo e distaccato – risuona di entusiasmo e passione. Una prospettiva ipnotica che ci conduce per le strade di una Germania prostrata dalla guerra e dal nazismo, con lei che, come una Kerouac del vecchio continente, viaggia in autostop in lungo e in largo, tra camionisti e ubriaconi.
In questa biografia di Inge Schöntal, volutamente, Giangiacomo è lasciato per ultimo. Fa parte di un’altra vita che coinvolge la Inge giovane e spensierata – perché lo spirito rimane lo stesso – e che ne racconta anche una dedita ai libri, all’amore, a un futuro condiviso. Ingemaus si colloca, in questo senso, in un ipotetico “prima” rispetto a Senior Service, dove si racconta di Giangiacomo e della casa editrice, e allo stesso tempo si mette in relazione con il reportage fotografico Inge fotoreporter e il docufilm Inge film. Una pietra miliare nel racconto di una famiglia e, soprattutto, di una donna che con il suo lavoro e la sua vita è diventata lei stessa un inno alla libertà e alla meraviglia.
“Ingemaus ce la farai. Fatti viva presto”
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