Fuse degli Everything but the Girl

Poco prima dell'estate del 1994 esce Amplified Heart, l'ottavo album del duo inglese Everything but the Girl.
Tra i singoli estratti c'è Missing, un brano, come sempre o quasi, musicato da Ben Watt e cantato da Tracey Thorn con la sua voce calda, il suo stile sensuale e malinconico, d'altronde il testo parla del tormento legato alla mancanza di una persona uscita dalla propria vita.
Nonostante, o forse proprio grazie a queste caratteristiche, il brano, nell'estate del 1995, diventa un'hit estiva.

Buona parte del merito va a Todd Terry, uno dei pilastri della house che, grazie al suo remix solo in apparenza semplice, rilancia il brano portandolo nei dancefloor di mezzo mondo e permettendogli di entrare in rotazione su molti network radiofonici influenti.
Intanto, durante il periodo passato dall’uscita del disco a quella del remix, il pubblico si è invaghito sempre di più della voce e dello stile di Thorn anche per la sua presenza nella title-track di Protection, album di grande successo dei Massive Attack uscito a settembre del 1994.

Se si aggiunge che l'epoca d'oro dei rave party sembra volgere al termine, si può capire ancora meglio come quell'aria malinconica sopra un ritmo house risulti perfetta per rappresentare i sentimenti dominanti degli habitué dell’elettronica da dancefloor.

Fatto sta che Missing diventa il brano più popolare firmato Everything but the Girl, inaspettatamente, visto che esplode circa un anno dopo l'uscita del disco. E lo è ancora, e di gran lunga a giudicare dal numero di stream - attualmente più di 53 milioni solo su Spotify.
Poi, negli anni successivi, gli Everything but the Girl realizzano altri due album, Walking Wounded (1996) e Temperamental (1999), ma per vederli ricomparire con un nuovo capitolo discografico abbiamo dovuto aspettare tanto, ben 23 anni e mezzo.

L'uscita di Fuse - titolo del nuovo album - è stata anticipata da tre singoli e il primo, Nothing Left to Lose, ha un po’ la stessa atmosfera nostalgica di Missing se non fosse che il ritmo di riferimento non è più l’house ma lo UK garage.
Già, il tempo è passato, sono comparse le piattaforme digitali sul mercato discografico e i cosiddetti ritmi urbani si sono evoluti, ma in generale, ascoltando il disco, predomina quel mix tra pop ed elettronica che è lo stile che ha maggiormente contribuito alla notorietà del duo.

In generale le atmosfere di Fuse sono grigie, in un modo molto inglese (andando un po’ per stereotipi), ma a parte l’ingresso di certi ritmi che le movimentano (come in Caution to the Wind), c’è una notevole ispirazione di fondo, magari dovuta anche all’assoluta mancanza di impellenza di pubblicare un altro disco.

I due neo-sessantenni, coppia anche nella vita, genitori di tre adolescenti, erano diventati artisticamente indipendenti l’uno dall’altra anche per salvaguardare il loro rapporto.
Poi il fatto che Watt sia affetto da molti anni dalla sindrome di Churg Strauss e che questa condizione abbia reso ancora più complicata la loro gestione della quotidianità durante la pandemia e aumentato l’incertezza sul futuro, li ha riavvicinati anche a livello artistico e, in qualche modo, nonostante le difficoltà personali, hanno prodotto questo disco in una situazione ideale per dei musicisti: senza dover dimostrare nulla, in assenza di pressioni e aspettative, con la consapevolezza di poter fallire, come hanno dichiarato al Guardian.

Ne è venuto fuori un album emozionante che, complice una certa grazia cosparsa tra i 10 brani, non scarica sull’ascoltatore il peso delle atmosfere più plumbee.