Fine di un matrimonio (Marsilio) è il primo romanzo di Mavie Da Ponte. Un libro dall’ampio respiro che indaga la fine di un matrimonio. É di questo che parla il libro: del fallimento di due coniugi.
Un romanzo malinconico e buffo, pieno di tenerezza e di sorpresa, la storia di una donna che si piega e si spezza, e non fa niente: essere interi non è il punto, il punto è provare a essere felici.
Ma che cosa significa “matrimonio”? Il termine matrimonio è l’unione di due parole latine, matris e monus, che tradotte significano “dovere della madre”.
È una visione arcaica che racconta molto anche del ruolo della donna e di come veniva (e viene) vista nella società.
D’altronde il termine “patrimonio” ha la stessa radice, tradotto diventa “dovere del padre”.
Non è tanto sulla parola “matris” che mi concentrerei per raccontarvi questo libro, quanto sulla parola “patris”. Perché la protagonista del romanzo è Berta, una donna che non ha voluto diventare madre rifiutando elegantemente il ruolo che la società le ha delegato. Berta ha, però, preteso che il “dovere del padre” venisse portato a compimento dal marito, Libero, che doveva prendersi cura di lei, darle una vita agiata e una posizione, non facendole mancare il suo appoggio e trasmettendole, quasi per osmosi, il suo posto nella società.
Libero, però, non riesce più a mantenere il suo ruolo nel rapporto e se ne va, perché ha trovato un’altra donna che gli ha dimostrato che non è sbagliato, che in lui non ci sono crepe.
Tutto questo accade subito, nel giro di diciassette pagine. Ed è questa la forza del libro: si parte dalla fine.
Ero rimasta sola, toccava a me cancellare le sue tracce
Il personaggio di Berta è controverso, è una donna che ha vissuto la prima parte della sua vita come figlia unica in una famiglia con poche possibilità, in un rapporto conflittuale con la madre e in qualche modo anche con sé stessa. Tutto quello che Berta voleva quando era molto giovane era emanciparsi e affrancarsi dal “quartiere” nel quale è nata e cresciuta.
Ci riesce con Libero, che le apre le porte ad un mondo in cui l’apparenza è molto più importante della sostanza, in cui l’aria condizionata in casa d’estate è uno status sociale ed è un mondo che a lei piace, dove si trova a suo agio e che non vorrebbe mai lasciare.
Ma Berta è molto altro, è una donna che non piegherà mai la sua vita alla volubilità e alla debolezza di suo marito, uomo che ha sempre vissuto cercando di appagare le aspettative dei suoi genitori e che solo con Berta ed in quell’unico gesto (lasciarla) è stato capace di imporre la sua volontà su quella degli altri.
A modo suo Berta soffre la fine del suo matrimonio. Anzi il dolore di Berta lo percepiamo tutto perché lei decide, scientemente, di non reprimere ciò che sente, di attraversare il suo dolore, di viverlo, di farselo scorrere nelle vene, anche avvelenando di parole negative il pensiero di suo marito.
"Traditore infame, Giuda senza capelli" mormorai "stupido medico incolto"
Ed è forse questo a rendere Berta una persona più che un personaggio. Berta è vera, è terrena, carnale, viscerale, è una donna come tante che soffre la fine di un rapporto e lo fa vedere. Berta non va più a lavorare, mangia solo kebab in un posto che nella sua vita precedente non avrebbe mai frequentato, si trascura, si guarda allo specchio cercando dei difetti fisici che le dicano che l’altra è meglio di lei, per giustifica l’abbandono di Libero.
Berta incontrerà altri uomini nei mesi successivi alla sua separazione e scoprirà che forse suo marito non era il meglio che poteva avere, come del resto aveva capito lui proprio all’inizio del libro.
Ma non sono le storie che Berta avrà il perno di questo racconto bensì la rinascita fatta di mille cadute e altrettante riprese. Berta si rimette in piedi, rinasce dalle ceneri, scopre che probabilmente non ha empatia, che delle persone riesce sempre a scorgere prima il lato negativo ma, leggendo le reazioni di Berta agli accadimenti che nel libro si susseguono, capiamo che la sua è una forma di difesa.
Mavie Da Ponte ha una leggerezza nella scrittura, e soprattutto nell’accompagnare il lettore verso le emozioni dei suoi personaggi, davvero stupefacente.
Un tratto molto delicato e, allo stesso tempo, chirurgico. Ogni parola, periodo o capitolo sono meticolosamente ragionati ma trasudano una forza narrativa che, come opera prima, fa restare davvero sbalorditi.
Mi sbilancio volentieri nel dire che sentiremo parlare tantissimo di Mavie da Ponte.
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