Pensiamo le genealogie come linee rette che collegano il presente al passato […]. Ma non funziona così: ritornare indietro di venti generazioni significa arrivare a un tempo in cui avevamo (fidatevi) 1 milione di antenati
Aprirò questa recensione nella maniera più banale con cui può aprirsi una recensione: il libro Come eravamo di Guido Barbujani è un libro bello. Non parlo del contenuto – anche, ma lo faccio meglio dopo – ma proprio dell’oggetto, a partire dalla sovraccoperta lucida con un primo piano intensissimo di una nostra antenata, fino al colore delle parole del glossario. Il blu della copertina cartonata, poi, è – non so che blu sia, confido me lo dica l’editore una volta letta questa pagina – denso, non notturno, ma quasi, insomma a introdurci all’argomento antico cui andiamo incontro. La carta interna è pesante e leggermente ruvida, ma maneggevole: mettetela in controluce per apprezzarne la continuità, la consistenza senza sbavature. E, infine, le illustrazioni interne. Sembra di sfogliare un documentario. Ma adesso, parliamo del libro. Cioè, di quello che ci sta dentro, tra le parole.
L’idea che possiamo conoscere fino a 10-37 secondi dopo il Big Bang ha sempre esercitato un grande fascino, su di me. Mi chiedo: cosa sappiamo, davvero, della nostra origine? Ci sono le conseguenze di una forte esplosione (eufemismo, temo), ma non riusciamo a vedere cos’è successo nell’esatto momento del Big Bang, dell’inizio di tutte le cose. Per quanto ci riguarda, potrebbe essere stato un petardo come una bomba atomica. Ecco, e per rassicurarmi in merito al fatto che le faccende dell’universo non sono l’unica regione inaccessibile della nostra conoscenza sull’origine, è arrivato Guido Barbujani che, con il suo libro, ha messo in discussione anche tutto ciò che sapevo sulle cose dell’uomo.
I Neandertal si sono estinti, ma siamo sicuri che non abbiano lasciato tracce? L'Homo erectus è stato un momento della nostra evoluzione? E quali sono i vantaggi che abbiamo acquisito nei millenni e che ci ha portato a dominare il mondo?
Quando siamo diventati umani, allora?
Barbujani sa che andare così a ritroso nella storia dell’uomo provoca, nel lettore inesperto e non del settore – dev’essersi sentito così quando, anche lui, ascoltava questi racconti per la prima volta –, un senso di inquietante vertigine. Credo sia naturale, come lo è appassionarsi alle vicende che ci hanno portato a essere Homo sapiens, ma per compensare, per non rendere la lettura del suo saggio un viaggio temporale e umano durante il quale avremmo senz’altro dei capogiri, l’autore fa due cose. La prima è scrivere con un piglio talmente divertente e divertito da farci ridere anche mentre ci racconta di estinzioni, genetica e DNA (riporto solo un ipotetico dialogo inventato tra un sapiens e un Neandertal per spiegare la debolezza della teoria dell’ibridazione: «Guarda, sto per scacciarti dalla tua terra, ma tua moglie, scusa la franchezza, è un cesso e non voglio neanche vederla»).
La seconda – piccola incursione sull’estetica del libro, ancora – è inserire un apparato di immagini. Ormai, diciamocelo, noi esseri umani, complici un sacco di questioni difficili da affrontare qui, abbiamo bisogno di vedere le cose di cui si parla. A maggior ragione quando l’argomento è questo, dove la nostra immaginazione ha serie difficoltà ad arrivare. Perciò Barbujani apre ogni capitolo, dedicato a un ominino diverso, con un'immagine. Sono illustrazioni, ricostruzioni digitali, ma sulla base non della fantasia o dei pregiudizi, come accade in molti libri delle scuole elementari, ma su quella dei fossili. Gli artisti chiamati a dare un volto ai nostri antenati più lontani hanno lavorato sui fossili, e le loro illustrazioni sono quanto di più vicino all’aspetto degli uomini e delle donne di milioni di anni fa che possiamo oggi immaginare.
Il racconto di Barbujani comincia da Lucy e arriva sino a sapiens. Dico «sino a», ma è scorretto, perché il libro ci porta a esplorare vicoli ciechi dell’evoluzione, aspetti impervi e deformi che sembrano riportare la storia dell’uomo indietro anziché avanti, cervelli troppo piccoli o troppo grossi o troppo veloci a diventare grossi. Insomma, sino a noi, ai sapiens, ma passando per la via meno semplice: quella che restituisce la complessità. E se la domanda è «Quando siamo diventati umani?», attenzione, perché qui non c’è la risposta. Casomai c’è il percorso che abbiamo seguito per diventarli, umani. O che stiamo ancora seguendo, forse.
Naturalmente, chiunque può credere che l’uomo sia comparso grazie a un singolo miracolo, sebbene io non ne veda la necessità o la probabilità
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