La redazione segnala

Violenza economica: quando "non è un lavoro per donne"

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

La violenza economica è un ingrediente della relazione tossica: non è tra gli indicatori più illuminati ma è uno tra i più illuminanti, perché la violenza economica ci fa capire che c’è tossicità e violenza anche laddove non appare.

Abbiamo bisogno di cambiare una cultura, sia per le donne che per gli uomini, perché l’abuso dell’altro riguarda l'essere umano e non c'è umanità laddove c'è abuso.

Ho fatto un piccolo elenco degli abusi economici di cui si può essere vittime:

  • Non sai qual è il patrimonio famigliare
  • Firmi i documenti sulla fiducia
  • Non hai un tuo conto corrente
  • Trovi inelegante parlare di denaro
  • Non gestisci il tuo stipendio o le tue entrate
  • Nonostante le difficoltà famigliari il/la partner non vuole lavorare
  • Non ti lascia lavorare
  • Non senti il lavoro come occasione di libertà
  • Pensi che i figli possano ripagarti della socialità persa con la rinuncia al tuo lavoro

Noi donne abbiamo un problema di amicizia con il tema del lavoro, che è invece un punto cruciale per la nostra liberazione economica. Il lavoro è libertà, perché l’autonomia economica viene da lì. Nonostante la vecchia cultura vorrebbe retribuirci di meno, dobbiamo imparare a chiedere quello che ci spetta, elaborando un senso di noi stesse, se non vogliamo colludere con pregiudizi e vecchi modelli. Isabelle Allende scrisse: 

Ho sempre avuto chiaro che dovevo lavorare perché non esiste femminismo che si rispetti che non sia basato sulla indipendenza economica

Ascolto invece persone dire che il lavoro è un castigo: cerchiamo di non buttare via il bambino del lavoro con l’acqua sporca delle condizioni di lavoro che, quelle sì, vanno modificate.
Lavorare è una protezione psichica e mentale: non lavorare può avere un esito angoscioso. Nella mia clinica ascolto donne che danno ancora troppa poca importanza al proprio lavoro per poi sentirsi disperate per essersi affidate economicamente all’altro, diventandone dipendenti, anche psichicamente. L’angoscia non è forse essere nelle mani altrui? Quando sei nelle mani dell’altro, è l’altro che decide ogni cosa e così si diventa anche psichicamente dipendenti. E in che mani è una donna che non lavora, che viene, come si diceva un tempo, “man-tenuta”, cioè tenuta nelle mani dell’altro? Che siano quelle del coniuge o del genitore, il senso di sé si immiserisce, il rapporto coi figli diventa colloso, si investono i figli di tutto quello che non abbiamo realizzato e li soffochiamo, i nostri progetti non decollano, la vita non sboccia. Chi non lavora è bambino, infatti è solo il bambino che si deve mantenere.

Il lavoro è psichicamente essenziale. Eppure, ascolto qualcosa che mi terrorizza: ho nelle orecchie le voci di ancora troppe ragazzine che sognano il principe, non tanto azzurro ma … d’argent. E questo fa male alla psiche delle donne.

La salute mentale ha due coordinate: poter amare e poter lavorare. La prima cosa che chiediamo a un soggetto compromesso che chiede aiuto è se riesce a lavorare. Se sì, ci sono tantissimi spazi di manovra. Se no, uno dei primi marcatori della riuscita della cura è che ritorni nella rete sociale, psichicamente protettiva, del lavoro.

Ogni soggetto è anche un soggetto economico, e il posto relazionale che ogni persona occupa in rete con gli altri è anche un posto economico. Il posto riguarda la salute mentale: la quale dipende da una coerenza minima tra ciò che dico e il posto da cui lo dico. Una persona abusata non ha un posto soggettivo da cui parlare. Anche una persona dipendente non ce l’ha perché scambia il proprio posto con quello dell’altro. Se non ho un posto, anche la mia parola vacilla o addirittura non si può formulare. E, senza le parole, decade anche il pensiero. Avere un posto soggettivo da cui parlare e pensare è un fatto di salute mentale.

Tutto il lavoro analitico ha spesso come esito il trovare un proprio posto come soggetto in cui c’è coerenza tra ciò che si dice e il posto da cui lo si dice, un posto che all’inizio dell’analisi non si pensava di avere, un posto facilmente diverso da quello che altri ci hanno assegnato dall’infanzia, un posto che spesso passa per il trovare una nostra vera attitudine ad un lavoro, per una invenzione soggettiva, per un modo di esprimere noi stessi.

In questo senso la definizione economica di sé è sempre più importante per una donna. La mancanza di una educazione finanziaria al femminile non è solo mancanza di una conoscenza tecnica ma una mancanza ad essere soggetti economici, è una mancanza della coscienza del senso di sé in una rete che è relazionale e perciò è economica. Ogni relazione è una relazione anche economica. In effetti, siamo soggetti economici oltre che sociali e relazionali, perché l’economia è l’humus in cui siamo a bagno quindi, che lo si voglia o no, dobbiamo occuparcene.

In quanto psicoanalista, ho a che fare con soggettività, ma spesso arrivano in studio persone che non sono più dei soggetti, ma che devono tornare ad essere soggetti: persone che sono oggetti d’uso o di godimento dell’altro, oggetti economici, sessuali o di sostegno psichico unilaterale. Se manca la consapevolezza di essere un soggetto di valore, potremmo cadere nelle mani del primo abusatore/trice che passa. Se non sappiamo di essere soggetti di valore, saremo sempre oggetto di qualcuno.

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