Apparentemente lontane come attitudine ed estrazione sociale, le madri descritte dalla Némirovsky, sul modello della propria, e di Pasolini, in realtà hanno più di qualcosa in comune. Se non altro, il loro minimo comune denominatore è quello della sofferenza dei loro figli.
Il libro più famoso sul tema del materno della scrittrice di Kiev è Il Ballo. La festa è organizzata dalla madre, a cui la quattordicenne Antoinette spera tanto di partecipare, ma la madre, nata povera e ora parvenue, le dice: «Sappi, mia cara, che io comincio soltanto adesso a vivere, capisci […] e non ho intenzione di avere tra i piedi una figlia da marito».
La quattordicenne Antoinette decide di gettare nella Senna tutti gli inviti che la madre ha stilato per il ballo destinato a segnare il suo ingresso nella brillante società parigina. È una vendetta, che la ragazza consuma nei confronti della madre. In poche pagine, l'autrice riesce a raccontare un dramma dell'amore, del risentimento e dell'ambizione.
Il posto della figlia, per la grande serata, sarà lo sgabuzzino perché la sua cameretta diventerà il guardaroba dei cappotti degli ospiti. Un ballo che diventa il terreno di scontro tra la madre e la figlia:
Un ballo... mio Dio, era mai possibile che lì, a due passi da lei, ci fosse quella cosa splendida di musica sfrenata, di profumi inebrianti, di abiti spettacolosi, di parole d'amore bisbigliate e che quella sera venisse messa a letto, come tutte le sere, alle nove, quasi fosse un bebè. Eppure, cosa le costava che Antoinette, anche Antoinette, avesse la sua parte di felicità su questa terra?
Il ballo: è qui la metafora della vita. Della vera vita, sia nella prospettiva della madre che di Antoinette.
Il duello madre-figlia è tutto giocato su questo: a quale delle due tocca vivere?
Si dà per scontato che o vive l’una o vive l’altra. La figlia non può vivere se la madre prende la scena nel ballo della vita: questo ci dice Némirovsky.
Il gesto di Antoinette, la cui conseguenza sarà che nessuno si presenterà al ballo, è contro la madre-che-prende-la-scena. Privandola del ballo, Antoinette opera un matricidio simbolico, il quale ha a che fare niente di meno che con la strutturazione psichica di ogni essere umano.
Non si può ballare il proprio ballo nella casa della madre. A ognuna il suo ballo. A ognuna la sua casa.
Col suo gesto, Antoinette opera un taglio. Quello che Pasolini non seppe mai fare. E veniamo alla madre di Pasolini a cui egli dedica la poesia Supplica a mia madre:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù
Tutto l’amore è già preso dalla madre e a Pasolini non resta che una girandola di corpi dei quali non potrà mai conoscere l’anima, a cui non potrà veramente dare un amore già sequestrato in partenza.
Madre e figlio vivevano insieme, fin dalla prima piccola casa romana in cui lui correggeva bozze e lei lavorava come domestica. Sappiamo che vissero per sempre insieme, come una coppia.
Ricorda Dacia Maraini in Caro Pier Paolo:
Una volta Bernardo Bertolucci, che ti ammirava e ti voleva bene ti ha detto scherzando che anche i passerotti minuscoli e delicati si allontanano dal nido e cercano di volare con le proprie ali. Ma tu hai sorriso come a dire: che ne sapete voi di un cuore innamorato?
Pier Paolo Pasolini è un autore di culto anche per i più giovani per la sua vita fuori dagli schemi. Di quel mondo perduto, degli amici che lo hanno frequentato, della società letteraria di cui ha fatto parte, c’è un’unica protagonista, che ha deciso di ricordare e raccontare: Dacia Maraini.
Eppure, da quell’amore, che ha prodotto la “fame di corpi senz’anima”, Pasolini è stato letteralmente ucciso.
Pasolini racconta che a Conegliano comincia una serie di sogni in cui perde sua madre e la va a cercare in una città che era Bologna (dove è lui nato): «L’incubo finiva con delle scale che io salivo correndo – ricorda Pasolini – sempre cercando mia madre disperatamente. Poi mi svegliavo nel letto dei miei genitori. In quell’epoca è cominciata una forma di nevrosi cardiaca: ero preso dall’improvvisa paura che il cuore smettesse di battere».
Quando il cuore batte solo se è all’unisono con la madre, la vita non è stata davvero data a un figlio. Ed è facile perderla. Pasolini non taglia. Pasolini non può che darsi alla madre, uno dei modi più dolci e atroci di morire.
Il plusmaterno è un odio piazzato al centro dell’amore:
Un miscuglio di gelo e di tepore. Questo odore della povera pelliccia di mia madre è l’odore della mia vita
Plusmaterno è il neologismo che Laura Pigozzi crea per definire un più di presenza materna che si ripercuote sulla volontà del figlio e lo passivizza. Questo raccoglie i saggi di otto psicoanalisti, una scrittrice-editrice e un sacerdote, tutti al lavoro su un fenomeno attuale, il plusmaterno, vero contraltare del patriarcato, in quanto concetto più centrato e contemporaneo rispetto al controverso matriarcato.
Qual è allora la relazione tra la madre di Antoinette e quella di Pasolini? La prima era nel minusmaterno, nella lontananza dalla figlia, nella freddezza, la seconda nella troppa vicinanza del plusmaterno.
Eppure, tra la madre che odia ferocemente (e che in fondo ti ama) e la madre che ama assolutamente (e che in fondo ti odia) non c’è troppa differenza ed è sempre difficile salvarsi.
A meno di un taglio che separi dal suo potere. Il gesto di Antoinette – che all’insaputa di tutti getta gli inviti del ballo nella Senna – è un taglio con cui si separa del potere materno, un gesto fatto nel momento, e non è secondario, in cui ha visto l’amore («Una vertigine s'impossessò di lei») tra la sua istitutrice e un giovane uomo.
Per opporsi a un destino tiranno può bastare un piccolo grande eroico gesto. Non che sia risolutivo, ma può segnare un distacco, un’accensione che mette in moto le giovani energie assopite.
E proprio in conclusione, una domanda sorge spontanea e ci fa interrogare: i ragazzi dei nostri tempi, al ballo, ci vanno? Oppure non pochi tra loro vivono una tristezza senza parole e confessano di vivere una vita anestetizzata. Non pochi arrivano nei nostri studi con una domanda sconcertante e che sentono colpevole: ho tutto e sono infelice, perché?
Il nuovo sintomo che affligge schiere di giovani si presenta come un’astensione dalla vita, dal ballo.
A differenza della bruciante Antoinette, alcuni giovani oggi si entusiasmano meno in un percorso di nirvanizzazione del desiderio che lascia il soggetto immobilizzato lì dov’è.
Spesso tra le mura di casa. Quelle da cui Antoniette voleva uscire persino a costo di uscire dalla finestra, gettandosi di sotto.
Di
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