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Il 1998 di Marco Pantani. Storia di un tempo sospeso

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

L’estate è quel momento dell’anno, ma anche della vita, in cui celebriamo il tempo sospeso. La noia, il riposo e il dolce far niente. Spesso quel tempo lo interroghiamo anche. O meglio: lo usiamo per interrogarci. Farci delle domande in estate è facile. Trovare risposte è invece difficile. Ma non perché sia estate; è difficile sempre. Tendenzialmente perché non siamo mai bravi a far coincidere la risposta che vogliamo darci con quella che dovremmo darci.

Questo articolo parla di un tempo sospeso e di 57 giorni che fecero la storia di un’estate e diedero risposte a un’intera generazione.

Estate 1998. O della doppietta di Pantani

Fu nell’estate del 1998 che lo spazio-tempo ci tirò un colpo maldestro. Fu un colpo di quelli dolci che fanno bene, come l’amico che con una mossa astuta attira l’attenzione di tutti e tu rimani da solo a parlare con la ragazza che ti piace e profuma di crema solare. D’estate la crema solare sa di avventure e si porta dietro la fretta del voler diventare grandi. Avvenne così – dicevamo – che per un curioso caso ci fu un tempo definito dentro il tempo sospeso di quell’estate. Un tempo durato ben 57 giorni. Dal 7 giugno al 2 agosto.

Quella del 1998 era l’estate in cui piangevamo per il rigore sbagliato da Gigi Di Biagio contro la Francia e ci domandavamo quando ci saremmo presi una rivincita coi cugini d’oltralpe. Era anche l’estate in cui non ci perdevamo una puntata del Festivalbar e cantavamo Natalie Imbruglia, Madonna, Anouk, gli Oasis, Vasco, gli Articolo 31 e Alexia. Se avete quarant’anni o giù di lì cercate l’elenco delle canzoni uscite nell’estate del novantotto. Vi farà bene al cuore.

In quel tempo sospeso, che durò quasi due mesi, avvenne che Marco Pantani vinse il Giro d’Italia il 7 giugno e poi il Tour de France, arrivando a Parigi in maglia gialla il 2 agosto. Quel 2 agosto per me non significa solo Pantani in giallo, ma è anche il girono del mio primo concerto degli Elio e le Storie Tese. Da amante degli Elii - e con in testa ancora le gesta del Pirata di Cesenatico - speravo di sentire Sono Felice, la canzone che il gruppo scrisse per Felice Gimondi che fino al giorno prima era stato l’ultimo vincitore del Tour, nel lontano 1965. Ovviamente non andò così (bisognerebbe chiedere a loro, ma credo che non l’abbiano mai fatta dal vivo quella canzone), ma io nella mia testa sono sempre stato un grande costruttore di scalette alternative dei concerti e in qualche universo parallelo sono sicuro che sia successo davvero e che quel concerto a Centocelle se lo ricordino oggi ancora tutti.

Pantani trionfa al tour, 25 anni fa

Il tempo, lo avrete capito, è il filo rosso che tiene in piedi questa storia. Ed è inevitabile riflettere sulla sua relatività e su come un evento che sembra accaduto l’altro ieri sia invece successo un quarto di secolo fa. Con la sua doppietta Pantani confermava la sua grandezza ed entrava definitivamente nella leggenda. Dopo una carriera fino a quel momento costellata da tante imprese e troppi infortuni quei 57 giorni fecero riappacificare un’intera nazione con uno sport che in tanti iniziavano a non riconoscere più come tale, perché la fatica - per amarla - deve esserci qualcuno che te la sappia spiegare.
Ecco chi era Pantani. Uno che la fatica te la sbatteva in faccia con i suoi gesti. Sempre gli stessi che preannunciavano o sottolineavano l’inizio di una fase estremante faticosa che – con buone probabilità – avrebbe portato a qualcosa di importante. Pantani che si alleggerisce della borraccia. Pantani che si toglie gli occhiali e li lancia a terra come se la salita fosse meno irta se vista senza il filtro delle lenti. Pantani che abbassa le mani sulle corna del manubrio, come per domare la bicicletta. Come se non fossero la stessa cosa, ma due entità separate e l’esito della gara fosse determinato prima di tutto da quella lotta tra l’uomo e il mezzo. Pantani che tra una goccia di sudore che gli cade dal naso e l’altra sembra parlare con Dio per chiedergli di quanto le vite abbiano senso anche alla fine di una salita.  

Quell’estate a Cesenatico

Frequento Cesenatico e la Romagna da un po’ di anni, ormai. E ogni estate ci passo qualche giorno con la mia famiglia, che intanto è cresciuta. La scorsa estate ad esempio ogni mattina prima delle 7 io e Pietro sgattaiolavamo fuori casa e camminavamo sul lungomare fino alla statua dedicata proprio a Pantani. Lui nel passeggino desideroso di correre a infilare le gambe in quel nuovo elemento che stava imparando a conoscere: l’acqua salata del mare e io che invece lo portavo a prendere il primo sole della giornata in un parco. Ogni volta, ma davvero ogni volta, che vado a Cesenatico mi domando come sia stato vivere (o essere in vacanza) lì 25 anni fa. Mi metto nei panni dei possessori dei bagni, dei bar, dei chioschi di piadine, delle famiglie in ferie e sogno le loro vite, le loro vacanze, le loro quotidianità piene di rosa e di giallo. Sento il sapore dei gelati dell’epoca e il profumo dei quotidiani sportivi riscaldati dal sole. Di quando l’inchiostro era piombo e pure l’odore della carta stampata aveva qualcosa da racontare. E la risposta che mi do ogni volta è composta da tre parole: rumore, festa, gioia.

Pantani è il tempo della gioia

Quei 57 giorni di Marco Pantani sono stati una gioia non negoziabile. Di quelle che arrivano violente e ti buttano per terra. Che ti lasciano a malapena la forza di respirare e se ci pensi sei felice, ma in realtà non sei sicuro di sapere il motivo e pensi che allora è questa la gioia vera? Quando sei così felice che te ne dimentichi e, semplicemente, vivi? In quei 57 giorni sono state dette e scritte parole bellissime su Pantani, ma più di ogni altra parola quello che ci resta oggi è la sensazione di aver assistito a qualcosa di unico (del resto nessuno in questi 25 anni c’è più riuscito) e raro e quindi prezioso. Un ricordo da proteggere.

Vedere un uomo minuto compiere imprese in sella a una bicicletta ci ha fatto battere il cuore e ci ha resi orgogliosi di essere italiani. Ché possiamo essere tutto quello che vogliamo, ma è solo quando c’è di mezzo la fatica che riusciamo a essere noi stessi. Vale per lo sport e vale per la vita. 25 anni fa a quest’ora tutti i Tg aprivano con la sua vittoria al Giro. Tutti i giornali uscivano con il suo volto in prima pagina. Qualcuno si iniziava a chiedere se avrebbe fatto anche il Tour. E tutti in cuor loro sapevano che ci avrebbe provato. Pantani è stato l’ultimo eroe del popolo.

Tutto quello che è venuto dopo di lui è stato meno schietto che non significa falso, bugiardo o meno vero. Significa solo che senza un Pantani a compiere certe gesta non ti viene voglia di salire in bici sul lungomare di Ostia (è una storia vera), coi tuoi amici, e non giochi a io faccio Pantani e tu fai Ullrich. Pure se quella è la tua ultima estate da minorenne e se la ragazza che ti piace ti guarda e qualche domanda se la fa. 25 anni fa, per 57 giorni, Pantani è stato la più bella storia italiana dal dopoguerra in un tempo sospeso in cui tutto doveva ancora iniziare e tutto doveva ancora finire. Non sapevamo nulla.
Eravamo soltanto felici.

Per approfondire

Pantani per sempre

Di Davide De Zan | Libreria Pienogiorno, 2022

In nome di Marco. La voce di una madre, il cuore di un tifoso

Di Tonina PantaniFrancesco Ceniti | Rizzoli, 2013

Pantani era un dio

Di Marco Pastonesi | 66thand2nd, 2014

Gli ultimi giorni di Marco Pantani

Di Philippe Brunel | Rizzoli, 2011

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