Due emigrati, che scrivono un testo per i loro connazionali all’estero. Il saggio espone una condizione universale e vuole parlare a tutti, in tutte le lingue. Ma il pubblico a cui è rivolto in prima lettura è fatto di emigrati tedeschi e per questo è scritto in tedesco.
Aspetto interessante, e forse anche curioso del Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels è la genesi tra il 1847 e il 1848 ma anche la sua «rinascita» nel 1872, un quarto di secolo dopo la sua scrittura, senza la quale non sarebbe arrivato fino a noi.
Hanno meno di trent'anni Karl Marx e Friedrich Engels, nel 1848, quando scrivono il Manifesto del partito comunista: un pugno di pagine all'inizio senza fortuna, poi destinate a cambiare il mondo.
Ma andiamo con ordine.
La prima edizione del Manifesto del partito comunista di Marx e Engels porta la data del 23 febbraio 1848. Enrico Donaggio e Peter Kammerer hanno ricordato come quel testo abbia visto la luce in maniera un po’ forzata, forse casuale, e come non sembrasse immediatamente destinato a diventare un “classico”.
Da settimane in Europa le masse iniziavano a muoversi: a Palermo la piazza aveva fatto sentire la sua voce il 12 gennaio; a Parigi cominciavano le mobilitazioni nella prima settimana di febbraio.
Marx e Engels sono in ritardo rispetto alla strada, e i committenti hanno fretta. Tutto era cominciato due mesi prima, nell’autunno 1847. Scrivono Enrico Donaggio e Peter Kammerer:
«Alla vigilia di una rivoluzione, un orologiaio, un calzolaio e un ex studente di scienze forestali, da anni sulle barricate, chiedono a due giovani filosofi ormai noti nei vari movimenti di opposizione, un giornalista e il figlio di un imprenditore, di elaborare un programma politico della loro associazione in vista di un importante congresso di rifondazione».
Siamo nel novembre 1847.
La Lega dei comunisti chiede ai due la consegna per la prima settimana di gennaio. Marx e Engels nelle settimane precedenti tuttavia non si incontrano spesso. Marx trascorre un po’ di giorni a Londra nel dicembre 1847 e una decina di giorni a Bruxelles, dove risiede a cavallo tra gennaio e febbraio. Engels è a Parigi dalla fine del dicembre 1847 fino al 31 gennaio 1848.
Il solo indizio della preparazione di quello che poi diviene nel giro di due settimane il Manifesto del partito comunista è una sorta di sintesi della seconda sezione, la cui stesura probabilmente è della seconda metà del dicembre 1847. Marx annota il profilo complessivo dell’opera sulla copertina di un quaderno che nella prima pagina reca l’indicazione «Bruxelles, dicembre 1847».
Il 24 gennaio 1848, non avendo ancora ricevuto nulla, il comitato centrale della Lega comunica al comitato regionale di Bruxelles di dare come data ultima per la consegna della versione definitiva del testo, affinché fosse pronto per la stampa, il 1° febbraio 1848.
A quella data ancora non c’è traccia del manoscritto, anche se probabilmente il grosso del testo è già stato composto. Uso il condizionale perché a oggi del manoscritto del Manifesto non è stata conservata nessuna copia.
Nei primi dieci giorni di febbraio, quando Engels giunge a Bruxelles, forse la stesura originaria del testo è già stata fatta, e in quei dieci giorni i due ci rimettono mano e lo strutturano definitivamente.
I temi infatti riprendono spunti sparsi che Marx e Engels hanno presentato nei loro scritti tra 1843 e 1847.
La sezione prima (Borghesi e proletari) e la seconda (Proletari e comunisti) ripropongono espressioni e frasi estratte da Miseria della filosofia, da Ideologia tedesca, da La situazione della classe operaia in Inghilterra, dalle note di Engels scritte nel 1847 per gli Statuti della Lega approvati al II congresso della Lega nel dicembre 1847. La sezione terza (Letteratura socialista e comunista) riprende soprattutto le note da Ideologia tedesca e da Miseria della filosofia.
Poi si tratta di trovare delle formule che rendano indimenticabile quel testo ovvero che lo consegnino al suo lettore per sempre. Il titolo del documento è di Engels, che lo suggerisce a Marx già nel novembre 1847. In realtà l’espressione Manifesto è ripresa da una serie di articoli che Moses Hess – il «rabbino comunista» – pubblica nel maggio 1841.
La prima frase, forse la più nota di tutto il testo («Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo»), non è degli autori, ma è una citazione ripresa da Der Socialismus und Communismus des heutigen Frankreichs, un libro del sociologo Lorenz Stein (1814-1890) pubblicato nel 1842.
Una storia diversa è invece quella della fortuna del testo.
A dispetto del longevo successo che tutti oggi riconoscono al Manifesto del partito comunista, a lungo non sarà ristampato. Tra il 1849 e il 1871 verranno proposti estratti, o passaggi particolari. Ma una ristampa completa del testo (ancora esclusivamente in tedesco) avviene solo nel 1872 ed è accompagnata da una breve prefazione all’edizione firmata da Marx e da Engels. In quella prefazione i due autori ripercorrono molto sommariamente la storia del libro e della sua diffusione e parlano di una traduzione dal tedesco verso inglese, francese, danese. Non sono state rintracciate queste edizioni se non in traduzioni molto parziali di alcuni periodici socialisti nel 1849.
Nel 1868 una parte è riprodotta sull’Arbaeiter Blatt, supplemento settimanale del quotidiano Telegraf di Vienna; una traduzione parziale esce in russo su Kolokol, periodico diretto da Herzen, con la traduzione, probabilmente di Nečaev, anche se a lungo una “voce” la attribuisce a Bakunin.
In breve: fino all’edizione del 1872, il Manifesto è un testo molto evocato, ma poco letto. È un «fantasma», più che uno «spettro». Il vero successo del Manifesto inizia proprio con l’edizione tedesca del 1872 e con la prefazione che Marx ed Engels presentano in quell’edizione e a cui seguono le versioni nelle maggiori e minori lingue del mondo.
È a partire dal 1872 che il Manifesto esce in francese e spagnolo (1872); portoghese e ungherese (1873); russo (1882); danese (1884); norvegese e yiddisch (1886); italiano (1889 e 1891); polacco (1892); ceco (1893); georgiano (1896); bulgaro (1898); ucraino (1902); croato (1904); finlandese (1905); esperanto (1907) cinese (1909); ladino (1914); tataro (1918).
Dunque, tra l’ultimo quarto dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale comincia la potente cavalcata di un testo che diventa il «catechismo degli ultimi» e non solo il testo formativo di un partito politico. Il Manifesto è percepito e vissuto come l’urlo di chi non avendo niente da perdere si candida a conquistare tutto.
Il presente è niente. È il futuro il tempo che conta. Quel futuro, sostiene, gli appartiene.
È ancora così?
Di
| Mimesis, 2021Di
| Gallucci Centauria, 2018Ti potrebbero interessare
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