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Guelta: l'opera di Alessandra Cassinelli che mette al centro l'acqua

© Alessandra Cassinelli

© Alessandra Cassinelli

Cosa muove un artista a comporre? Quali sono le suggestioni che possono guidarlo? Come nasce un'opera? Attraverso le parole di Alessandra Cassinelli, scopriamo cosa c'è dietro la sua opera Guelta, un'opera d'arte espressa nella forma della performance, in cui esplora la fatica e le contraddizioni dell'uomo, camminando inarrestabile nell'acqua, cercando quasi nell'impossibile tentativo di contenerla.

Un giorno un gallerista mi ha chiesto: ma qual è la tua dannazione?

Oddio, dannazione mi sembra un po’ enfatico, forse intenderà ossessione, ho pensato: ma io sono piena di ossessioni, io mi preoccupo di tutto, tutto il giorno e spesso anche nei sogni. Mi danno a ritmo continuo come una ossessa. Intenderà l’ossessione del momento, ho pensato. Neppure così mi chiarivo le idee, soffro di dannazioni simultanee e mi danno su vari fronti a vari livelli per tante faccende mi danno e mi addoloro.

Acqua, ho pensato. 

Ecco, l’acqua è tema di costante dannazione.

Penso a chi non ha neppure un litro d’acqua per campare tutto il giorno, magari in mezzo all’Africa, al caldo assordante dell’Africa. Magari in luoghi dove, di acqua, dovresti berne nove litri al giorno perché ci sono 50 gradi e il corpo ne ha bisogno e allora bevi per non morire.

Nove litri al giorno bevevo in Mauritania, non solo io, che gestivo la cambusa, ma tutti quelli del gruppo che allegramente viaggiavano per le dune con il carico d’acqua appresso che calava a vista d’occhio. Nove litri per 20 sono 200 litri (cifra tonda). Un litro a testa andava via fra the e caffè per la colazione, poi un litro lo ricevi alla mattina o alla sera per lavarti, lavarti alla meglio nel seguente ordine: la faccia, i denti e un bidet mentolato. Poi ognuno, a seconda dell’esperienza, suddivide la sua razione e sceglie le sue priorità.

Ecco, l’acqua andava giù rapida e noi temevamo che l’altro bidone, quello grande da 200 litri, quello blu (come il bidone blu di plastica dove tenevano i soldi in Breaking Bad) potesse avere qualche problema. Quando sono andata a controllare ho aperto il tappo ed è sbuffato fuori un tanfo di gasolio tremendo, al caldo la plastica aveva restituito il gasolio assorbito prima. Al mercato di Nouakchott ce l’avevano venduto giurando su tutta la tribù, la genìa, i figli e i santi che c’era stata solo acqua, che era un buon bidone, che era un bidone sano, solo acqua e, in effetti, odore allora non ne aveva.

Penso che al posto del servizio militare ci servirebbe di più un bel viaggio nel deserto, un mese di deserto. Dove il cielo ti avvolge, il silenzio ti stravolge, dove gli occhi non li avevi mai messi a prova così tanto sulla distanza e sulla lontananza degli orizzonti. Ma dove, quando ti spaventi, ti spaventi davvero. Dove, quando ti perdi, sei morto e quando non hai acqua sei già morto.

Nel deserto vige la legge del mare, quando incontri qualcuno ti viene chiesto –  e a tua volta chiedi – se tutto è a posto, in mezzo al deserto è facile che se incontri una carovana siano loro a offrirti una ciotola, magari di latte cagliato, puzzolente, per te che cerchi di non fare le facce disgustate e dici Shukran Shukran Shukran, ma il latte non lo bevi, lo assaggi appena. 

Beh, fatto sta che fra una meraviglia e l’altra, l’acqua della tanica col sapore di benzina ti fa capire quanto sei piccolo e disperato e, quando ti bevi anche quella, te la bevi perché altrimenti muori. E giuri e spergiuri come Pinocchio che mai più, mai più sarai come sei stato. Allora bevi e ringrazi vari dèi e la bevi finché non arrivi in un villaggio da un capo tribù che ti accoglie e sottostai a tutta la manfrina celebrativa, lo guardi dormire per due ore perché deve riflettere e, quando si sveglia, paghi l’acqua il doppio del gasolio.

Purtroppo, io non riesco a dimenticare nulla e così tutte le esperienze si cumulano e garantiscono una scelta infinita di ossessioni giornaliere. Non dimentico il problema quando faccio una doccia, quando mi lavo i denti, quando lavo l’insalata e la macchina non la lavo mai, anche se, sono certa, i vicini mormorano. E comunque non sono come tutte le mie amiche che fanno la doccia tutti i giorni con fiumi di acqua e shampoo e balsamo che richiede altri fiumi di acqua perché sciacquare accuratamente è sempre raccomandato.

Ecco, nella paura che sempre mi accompagna per la nostra fragilità, per la nostra superba arroganza, ma soprattutto abissale ignoranza, penso che un cammino di Compostela nel deserto dovrebbe essere come una prescrizione medica. 15 giorni, se possibile 1 mese. Al posto del servizio militare equiparato ad un servizio civile. Uno studio delle altre civiltà, di tutta la civiltà possibile: educazione civile e civica.

Perché se almeno una volta non hai sentito che ti stai seccando come un bacco, perché se non hai sentito il peso della natura che ti secca e ti fa fuori, allora non puoi capire. 

Vorrei dirlo sempre ma lo dico solo ogni tanto: chiudi l’acqua, abbassa il getto, falla scorrere più piano. Non serve tutta quell’acqua! Basta è troppa, mentre carichi la lavastoviglie non importa che tieni il getto forte e parli con me. Niente, perdi tempo e, ogni tanto, butti sotto un piatto e poi lo disponi nella macchina e l’acqua intanto corre, e mi parli e mi racconti… non ti sento! Puoi raccontarmi quello che vuoi ma io non ti ascolto! Non ti sento, non ti ascolto e guardo l’acqua. E a casa tua a cena non ci vengo più! Se penso che sei così, così sempre, a ogni pranzo e a ogni cena, con tutta la gente che vedete voi, saranno mille litri a botta mille litri, mille litri a botte.

Nella botte solo acqua giallastra puzzolente di nafta e me la sono bevuta, gli altri se la sono bevuta ma con la menta o il ribes, tanto sciroppo per confondere le acque.

Ecco, io sono dannata, anche a casa non mi godo la doccia e comunque mi sento una zozzona. Così un giorno, venti anni fa sono tornata dal gallerista: questo è il mio lavoro. Guelta è il titolo. Guelta è l’ultima pozza di acqua che rimane nel deserto e che deve servire a tutti, animali e umani, prima della nuova stagione delle piogge.

L’idea era di buttarmi in una piscina e in modo metodico, insacchettare acqua in grandi involucri trasparenti da 200 litri circa e con perseveranza avanzare, saturando e solidificando con i sacchi pieni, l’intera vasca.

In una vana, estenuante fatica, affrontando la forza dell’elemento in un corpo a corpo, nell’intento di sacralizzare e soppesare qualcosa di essenziale e fondamentale. Qualcosa che diamo per scontato senza renderci conto della sua vitale importanza.

Mi obbligavo a una fatica, a una disciplina che portasse alla comprensione. Un antico castigo o totale reverenza verso l’elemento naturale prezioso e divino. Un atto di sottomissione al Dio acqua e al Dio dell’acqua.

Nonostante io sia figlia di un’educazione libertaria, spesso si insinua in me qualche bolla segreta, qualche malvagio, insensato pensiero per cui, con la coercizione, con l’ordine imposto, con la giusta violenza si potrebbero risolvere le cose. Ecco, forse, quando ci sentiamo deboli di fronte a qualcosa cerchiamo quell’attimo di potere e vitalità che ci dà la forza che non abbiamo.

Ci immaginiamo al comando dell’intera situazione e con due mosse e un po’ di polso ci pare di poter risolvere. A zappare li manderei! E comunque cerco di avere un atteggiamento aperto e di ragionare, ma questa frase ancora mi accompagna.  Sempre qualcuno da mandare a zappare lo trovo.

O a chiudere acqua nei sacchi lottando con l’elemento in un corpo a corpo che si fa man mano più complicato. Sì, perché i sacchi iniziano a fare ancora più resistenza dell’acqua, mentre ti aggiri nello spazio che a poco a poco si restringe, i sacchi pieni ti bloccano, ti si attaccano e non ti lasciano muovere. Perché faccio questa fatica? A zappare mi manderei! A faticare! Così lo impari una volta per tutte, cosi te lo ricordi, stupida!

Ma ancora una volta un disegno di Attilio, un Pericle con l’ombrello, mi suggerisce una soluzione e soprattutto un approccio più lieve. Pericle si protegge dall’acqua e nello stesso tempo la raccoglie, non vuole salvare il mondo, è solo contento di aver avuto una buona idea.

E questo grande senso di impossibile mi diventa meno impossibile

Libri che raccontano l'acqua

Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico

Di Edoardo Borgomeo | Laterza, 2020

L'acqua. Celebrata dai maestri della stampa giapponese

Di Jocelyn Bouquillard | L'Ippocampo, 2022

Parto. Diario di 9 mesi in acqua-Parto. Diario di 9 mesi in aria

Di Chiara CarminatiMassimiliano Tappari | Franco Cosimo Panini, 2013

Nell'acqua

Di Lorenzo Mattotti | Logos, 2016

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