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L'importanza di chiamarsi Gregory Peck  

© MYmovies.it

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In Eva contro Eva Gary Merril, nella parte del marito di Bette Davis, di professione regista, viene invitato a Hollywood. Bette gli dice «salutami Gregory Peck.»
In Totò lascia o raddoppia, Totò ha un atteggiamento seduttivo nei confronti della bellissima Dorian Gray. Lei gli dice «Ma chi ti credi di essere, Gregory Peck?», lui risponde «Ma si può sapere cosa ci trovate voi donne in questo Gregorio Pecco?»

In quegli anni cinquanta Gregory Peck (1916-2003) era un modello in quel senso. Bellissimo, elegante, affascinante.
Faceva parte della seconda generazione della grande Hollywood, la prima era stata quella dei Cooper, Bogart, Gable, Flynn, Wayne.
I suoi colleghi si chiamavano Power, Ladd, Lancaster, Douglas, Mitchum, Holden, gran bel gruppo, e attori veri: non si accontentavano di “essere lì davanti alla cinepresa”. A un Cooper bastava, ma questi si impegnavano nelle espressioni e nei gesti, insomma, come ho detto, recitavano.

Anche a Gregory sarebbe stata sufficiente la presenza, ma negli anni si impegnò nella recitazione, anche se, in quel senso, non fu mai un grande attore. Come un Lancaster per esempio, capace di fare il gangster, il cowboy, l’acrobata, il corsaro e… il principe di Salina. 

Gregory nacque a Lajolla da famiglia della buona borghesia. Fece buoni studi ma accadde che a New York, ventenne, assistesse allo spettacolo teatrale I've Married an Angel, rimanendone colpito tanto da decidere che il proprio destino sarebbe stato l’attore. E lo fece in ruoli giovanili non particolarmente ricordabili, ma che gli insegnarono il mestiere. E a soli 28 anni, nel 1944, ebbe il suo primo ruolo da protagonista in un film, Tamara, figlia della steppa.

E l’anno dopo, ecco la grande svolta, l’incontro con Alfred Hitchcock che gli offre il ruolo di un uomo devastato da un trauma infantile in Io ti salverò. A salvarlo è Ingrid Bergman.
Due anni dopo riecco l’attore di nuovo diretto da Hitchcock nel Caso Paradine, dove è un avvocato tormentato che si innamora di una donna, Alida Valli, un’assassina, che difende. Da quel momento la carriera di Peck prende un abbrivio che lo porterà a essere un divo amatissimo. Tutto gli è permesso.

L’attore ha toccato tutti i generi del cinema, lasciando un segno visibile in ogni film. Un focus, su ogni genere.

La letteratura

I produttori vedevano in Peck un modello molto adatto a rappresentare i grandi romanzi e relativi autori.
Hemingway: l’attore è protagonista di Passione selvaggia, tratto dal primo dei Quarantanove racconti, La breve vita felice di Francis Macomber. È nella parte di un cacciatore bianco, in Kenya, alle prese con una donna viziata e aggressiva che forse ha ucciso il marito durante un safari.
In Le navi del Kilimangiaro, un altro dei Quarantanove, fa la parte di un alter ego di Hemingway, con tutte le passioni e i vizi del grande scrittore di Chicago.

In Adorabile infedele eccolo invece nel ruolo dell’antagonista di Hemingway, Scott Fitzgerald. Il racconto riguarda gli anni infelici, gli ultimi di Scott a Hollywood, dove soffrì molto. Impegnato come sceneggiatore, fallì. Venne licenziato. Famosa la frase del gran capo Mayer: «sei un grande scrittore, ma non possiamo fotografare gli aggettivi». Scott si rifugiò nel bere, morì nei giorni di natale del 1940, a 44 anni.

In Moby Dick è il leggendario capitano Achab, creato da Melville. Peck è perfetto nel rappresentare la nevrosi mortale del capitano che insegue la balena bianca.

Nel Grande peccatore dà corpo e volto al patologico giocatore creatura di Dostoevskij.

Il ruolo dell’avvocato Atticus Finch nel Buio oltre la siepe, bestseller di Harper Lee diede a Gregory Peck l’Oscar da protagonista, era il 1963.

La politica

Hollywood, sempre attenta alle istanze del governo, usò l’attore come strumento politico.
Nel 1954, Peck, nel film Gente di notte, è un ufficiale di stanza a Berlino e deve vedersela coi comunisti della parte “russa” della città. Riesce a tenere testa agli imbrogli ideologici dei comunisti e a batterli sul loro stesso terreno.

Nel 1969 il regista Lee Thompson lo volle nel film La lunga ombra gialla, dove l’attore è uno scienziato premio Nobel ospite in Cina. Si trova ad affrontare quella cultura, non certo amica. Il film risolve la politica facendo giocare a ping pong lo scienziato contro Mao Tse-Tung nientemeno. Vince Gregory. Ribadisco, era il modo hollywoodiano di fare politica.

Il western

Pur essendo troppo elegante per i saloon e le praterie, l’attore non poteva esimersi dal genere più identitario del cinema e del sentimento americano. Ha interpretato molti western, alcuni diventati dei classici.
Prevale Il grande paese, un titolo che la critica “colta” pone nella classifica nobile del genere. Peck è proprietario di una flotta, nell’est. Segue la donna che sta per sposare nel Texas. Si scontra con una civiltà molto diversa dalla sua. Ma capisce tutto e detta le sue regole.  

La guerra

Due titoli ricordabili.
Nei Cannoni di Navarone dove è un ufficiale che riesce nell’impresa impossibile di distruggere gli enormi cannoni che sistematicamente affondano navi alleate.
In MacHarthur il generale ribelle interpreta uno dei massimi eroi della Seconda guerra mondiale e della guerra in Corea.

Sarebbero decine i titoli da citare. Ma chiudo con un’istantanea che, se pensi a Gregory Peck, la memoria immediata richiama all’istante, Vacanze romane di William Wyler, del 1953. Gregory gira in vespa per Roma con Audrey Hepburn (ne parliamo qui). Intende fare uno scoop giornalistico e finge di ignorare che la ragazza non è una qualunque, ma un’altezza reale. Film magnifico che sfiorò l’Oscar, che invece ottenne la 24enne Audrey. La vespa ebbe un incremento di vendite esponenziale e divenne lo scooter più popolare del mondo. E… lo è ancora.

O.k. Gregory

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