Il 1° giugno 1998, a Westwood in California, andò in scena la première di The Truman Show. Il capolavoro di Peter Weir, su sceneggiatura di Andrew Niccol, con protagonista un Jim Carrey in stato di grazia.
Dopo aver scoperto che la propria vita non è altro che una soap opera con spettatori in tutto il mondo, e che fin dalla nascita è circondato solamente da attori, un impiegato decide di abbandonare il gigantesco set nel quale ha sempre vissuto per affrontare la vita reale. In onda. Senza saperlo
Il film racconta la storia di Truman Burbank, un mite assicuratore cresciuto vivendo una vita ordinaria che, a sua insaputa, si svolge su un gigantesco set popolato da attori al servizio dello spettacolo televisivo più seguito al mondo: il Truman Show.
Un film profetico ispirato in parte ad un episodio (L’avventura di Arthur Curtis) della serie Ai confini della realtà, ai futuri distopici descritti da Orwell in 1984 e da Dick in Tempo fuor di sesto, ma anche alla strumentalizzata vita di Michael Jackson e alla nascente tendenza dei reality.
The Truman Show si rivelò un trionfo di pubblico (con incassi pari a 260 milioni a fronte di un budget di 60) e di critica, dimostrando che il talento straripante del suo protagonista andava ben oltre quella «Faccia di Gomma» che lo aveva reso popolare.
Mentre Carrey era impegnato a schivare cacciatori di gossip e a godersi il successo, Niccol, uno sceneggiatore neozelandese a Londra, era alle prese con un concetto che lo assillava fin dall'infanzia: ovvero che tutto ciò che lo circondava non era nient'altro che una sciarada.
Scrisse, così, una bozza intitolata The Malcolm Show: un thriller sci-fi ambientato a New York.
La modificò 30 volte prima che diventasse la storia che amiamo, compreso il titolo. Il nome del protagonista, Truman, è un gioco di parole tra True (vero) e Man (uomo). Fu Peter Weir (ingaggiato dalla Paramount dopo il passo indietro di De Palma) a dare una svolta comedy allo script troppo dark.
Il regista volle Jim Carrey dopo averlo visto in Ace Ventura (1994), perché gli ricordava Chaplin.
Weir lasciò al comico canadese piena libertà d’improvvisazione, come ad esempio nei monologhi davanti allo specchio. Il re della risata accettò la metà del suo cachet (di 20 milioni di dollari) per recitare nel film, servendosi della sua esperienza di star assalita da fan e fotografi per diventare Truman Burbank: un uomo all’oscuro di come la sua intera esistenza venga spiata h24 da 5.000 telecamere nascoste.
Quando è salito a bordo del progetto, Carrey era perseguitato dai paparazzi nascosti ovunque, incluso il cortile di casa sua.
I fotografi lo hanno persino seguito in un resort privato ad Antigua, dove era in luna di miele con Lauren Holly.
La svolta «drammatica» valse all’attore di Newmarket un Golden Globe.
Per prepararsi al ruolo di Meryl Burbank, la «moglie perfetta» del protagonista, Laura Linney studiò i cataloghi Sears degli anni '40 e il game show Let's Make a Deal con Carol Merrill.
Ed Harris sostituì, all’ultimo momento, Dennis Hopper nel ruolo di Christof che abbandonò per divergenze creative. Per calarsi nei panni dell’ideatore «messianico» del Truman Show, Harris impugnò una biografia di 10 pagine che consisteva in Christof che girava un film sui clochard, per cui vince un premio.
Un decennio dopo, fu individuato un nuovo disturbo psichiatrico noto come La sindrome di Truman; un delirio persecutorio caratterizzato dalla convinzione che la propria vita sia un reality show.
Se nel 1998 l’idea di essere sorvegliati da occhi invisibili rappresentava il peggiore incubo dell’umanità, oggi, è diventata parte integrante della nostra società. Dopotutto, quando carichiamo su Twitter, Facebook, Tik Tok, Instagram, Snapchat e YouTube, stiamo essenzialmente creando il nostro show.
Il concetto stesso di celebrità si è spostato dall'élite al ragazzo/a della porta accanto. A migliaia si sono ritagliati una carriera grazie ai social. Il tutto, senza interruzioni pubblicitarie ma con lo sponsor all’interno del proprio «show» (Meryl Burbank, docet).
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