Elmore Leonard, nato a New Orleans, Louisiana, nel 1925, è stato, tra le altre cose, uno scrittore. Ha pubblicato trentacinque romanzi, e ventuno delle sue storie sono state trasformate in film.
In una delle ultime interviste prima della sua morte, il 20 agosto 2013, ad ottantasette anni, quando gli è stato chiesto se riusciva ad immaginare un momento in cui avrebbe smesso di scrivere, ha risposto:
Probabilmente non smetterò finché non smetterò con tutto, non lascerò questa vita, perché è tutto quello che so fare. Ed è divertente. Mi diverto a scrivere e molto tempo fa ho detto a me stesso: «Questa cosa deve divertirti, altrimenti ti farà impazzire»
Che Elmore si divertisse a scrivere i suoi romanzi è evidente, si capisce dal ritmo serrato dei suoi dialoghi (per cui ringrazia Hemingway, che considera suo maestro), dalle trame che architettava (da ragazzo, Tarantino fu scoperto a rubare un suo libro e conseguentemente messo in punizione), e dai protagonisti autentici, degli uomini che provano a cavarsela un un mondo costellato dal crimine.
Figlio di un direttore della General Motors e di una casalinga, passa l’infanzia a spostarsi per l’America del Sud, e poi l’adolescenza a Detroit. A nove anni, mentre è in collegio dalle suore, scrive la sua prima sceneggiatura su un soldato che si è incastrato in un filo spinato. L’unica spettatrice era la Madre Superiora.
In guerra, quando combatteva per i Marines, lo chiamavano Dutch, l’olandese, come il giocatore di baseball di cui era omonimo. A casa, invece, lo chiamavano “il Dickens di Detroit”, per il modo in cui riusciva a dare vita ai personaggi dei suoi thriller, tutti ambientati nella città dove era cresciuto.
Per Elmore i nomi erano terribilmente importanti, tanto che confessa al New York Times di passare ore a cercare il nome perfetto per i suoi personaggi.
Quando Quentin Tarantino lo chiama per dirgli che ha cambiato il nome della sua storia da Punch al rum a Jackie Brown, Elmore risponde: «Ehi, sei tu il regista. Puoi fare quello che vuoi».
Cos’hanno in comune una hostess di volo (Pam Grier), un trafficante d’armi (Samuel L. Jackson), un subdolo garante di cauzioni (Robert Forster), uno scaltro ex detenuto (Robert De Niro), un agente federale (Michael Keaton) e una bionda svampita (Bridget Fonda)? Sono sei giocatori sulle tracce di mezzo milione di dollari in contanti! Chi farà il grande colpo? Tratto dal romanzo di Elmore Leonard e candidato all'Oscar per il miglior attore non protagonista (Forster), Jackie Brown è un elegante omaggio al cinema d'exploitation degli anni '70.
Quando si trattava di cinema, non gli interessavano i dettagli: voleva che le persone si divertissero a guardare le sue storie tanto quanto lui si era divertito a scriverle.
Nelle interviste, Elmore è un uomo anziano molto distinto: occhiali dalla montatura sottile, giacca e cravatta, poche parole con un sottile accento del Sud.
Quando gli chiedono cosa pensa degli adattamenti cinematografici dei suoi romanzi — alcuni anche di grande successo — risponde che alcuni gli piacciono, mentre altri avrebbe preferito che non venissero proprio fatti.
Parla senza fronzoli, come i personaggi dei suoi libri.
Era uno che andava con le tendenze, come dice lui stesso in un’intervista con Martin Amis, suo grande ammiratore, e che «ha iniziato a scrivere per il desiderio di farlo, ma anche con l’idea di fare più soldi possibile con la scrittura, perché non ci vedeva niente di male».
Inizia con i racconti western, per poi passare ai thriller alla fine degli anni anni Sessanta. Il successo arriva negli anni Novanta, dopo l’adattamento cinematografico nel 1995 del suo romanzo Get Shorty, in italiano La scorciatoia, con John Travolta come protagonista.
Elmore Dutch Leonard è stato molte cose: scrittore, sceneggiatore, e anche produttore di alcuni dei film tratti dalle sue storie. Ma, prima di tutte queste cose, è stato un bambino che amava far divertire le persone con le sue storie, e ci è riuscito fino alla fine.
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