Della sua fragilità in quell’istante amai proprio quello che dell’amore si paga più caro: l’assenza di calcolo e di misura che appartiene solo alle cose nate libere
A maggio credevamo fosse scoppiata la bomba, con quell’intervista al Corriere della Sera in cui raccontava ad Aldo Cazzullo la sua malattia. E poi la notizia, attesa e una seconda volta terribile, della morte, il 10 agosto: Michela Murgia se n’è andata a 51 anni, dopo una lunga, debilitante malattia. Un cancro che l’ha divorata – e lei si sarebbe arrabbiata parecchio a leggere che la malattia ha vinto, che c’era una battaglia in corso, che lei è stata una guerriera fino all’ultimo: perciò non scriveremo niente di tutto ciò.
Oggi che ci troviamo a scrivere di Michela Murgia dobbiamo renderle omaggio prestando la massima attenzione a ogni parola, a ogni espressione, perché questo ha fatto lei, fino all’ultimo: ha lottato, ma perché prestassimo più attenzione. L'ha fatto con il suo attivismo, con le sue scelte ma, soprattutto, con i suoi libri, l'ultimo dei quali, il romanzo Tre ciotole, uscito a maggio e recensito qui su Maremosso.
S'innamorano di una sagoma di cartone o di un pretoriano in miniatura, odiano i bambini pur portandoseli in grembo, lasciano una donna ma ne restano imprigionati. Sono alcuni dei personaggi del nuovo, strabiliante libro di Michela Murgia, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti attraversano un cambiamento radicale.
Era nata a Cabras, in Sardegna, e aveva cominciato a scrivere a 35 anni, quando aveva pubblicato il suo primo libro, Il mondo deve sapere, una specie di blog in cui raccontava la vita degli operatori di telemarketing. Perché fino ad allora, Michela Murgia aveva lavorato negli ambiti più disparati, partendo da uno spazio che oggi a noi sembra incredibile – non che lei l’abbia mai negato –, quello della religione. La sintesi tra quel mondo da cui proveniva e quello in cui sperava è presente in tutti i suoi libri, e nelle interviste più recenti, di cui giornali e televisioni sono state voraci, questa spola tra un passato religiosamente educato e un presente causticamente progressista è sempre stato evidente. A partire dal padre che esercitava il suo patriarcato fino ad arrivare al travisamento del messaggio cristiano da parte del potere.
Come fai a tenere insieme la tua fede cattolica e il tuo femminismo? È una domanda che Michela Murgia si sente rivolgere di continuo. È la stessa che si pongono le persone credenti LGBTIAQ+ e che si pone chiunque debba fare compromessi tra la propria coscienza e i precetti dottrinari, per esempio in merito ad aborto, eutanasia, fecondazione assistita.
Si è sempre circondata di scrittrici e scrittori che potessero tenerle dietro nel suo sguardo sul mondo. Lei andava veloce, troppo per il tempo in cui ha vissuto e che ci ha lasciato, ma qualcuno correva insieme a lei: Loredana Lipperini, Roberto Saviano, Chiara Tagliaferri e altre e altri che condividevano con lei l’idea che la letteratura dovesse essere anche impegno, prassi del mondo che abitiamo. Si potrebbe dire che il suo obiettivo fosse etico, ma forse questa definizione l’avrebbe indispettita, o quantomeno l’avrebbe portata a ribattere. I suoi libri ponevano e porranno domande, come faceva lei, anche se non l’avresti detto dall’impeto con cui le pronunciava: sotto lo zelo, sotto la sicurezza di Michela Murgia c’era sempre una volontà di scuotere, di far riflettere, di spingere a cercare – di trovare, raramente – risposte.
Le intellettuali del nostro tempo, come quelle di tutti i tempi, fanno questo. Mettono sul tavolo questioni che nessuno aveva ancora nemmeno intravisto. E per questo si è tentati sempre di dire che sono divisive. Ma le domande di Michela Murgia non erano divisive, semmai inquietavano chi non le aveva sentite arrivare. Chi rimaneva spiazzato incapace di sostenere lo sguardo interrogante di una persona la cui vita e i cui diritti dipendono dalla risposta che si darà.
Le Morgane di questo libro sono efficaci ciascuna a suo modo nello smontare il pregiudizio della natura gentile e sacrificale del femminile. Le loro storie sono educative, non edificanti, disegnano parabole individuali più che percorsi collettivi, ma finiscono paradossalmente per spostare i margini del possibile anche per tutte le altre donne.
Negli ultimi mesi, con quel suo tono pacato e il sorriso serafico negli occhi, Michela Murgia aveva l’aspetto dei grandi saggi, e dobbiamo essere grati per averne goduto. L’aspetto di chi vede la fine e cammina in quella direzione con passo deciso, perché sa che non ce ne sono altre e tanto vale tirarci fuori qualcosa di buono. Avrà avuto paura come ogni essere umano, ma era anche consapevole di aver dato tutto e di aver messo a posto le cose. Si è sposata, ha creato una famiglia queer che l’ha resa felice, ha fatto felice a sua volta.
E ci ha lasciato con la pretesa che ha portato avanti per tutta la sua vita, la domanda che non ammetteva repliche. Ci ha chiesto, fino alla fine, di prestare attenzione, ai gesti, alle parole, al mondo che ci circonda. Perché più ci accoccoliamo nel nostro cantuccio, senza mettere il naso fuori, più le cose saranno fuori dal nostro controllo. Michela Murgia ci chiedeva – e chiederà a chiunque si imbatterà nella sua eredità – di fare attenzione, di non prendere tutto per forza con leggerezza, perché, alle volte, ci vuole un impegno grande come il suo perché le persone possano stare meglio.
Dobbiamo fare i conti con quest’ultima, grande, ingombrante richiesta, Michela. Ma ce la faremo, prima o poi, vedrai.
Di
| Mondadori, 2023Di
| Einaudi, 2021Di
| Einaudi, 2014Di
| Einaudi, 2022Di
| Einaudi, 2018Di
| Einaudi, 2018Di
| Mondadori, 2020Di
| Einaudi, 2014Di
| Salani, 2019Di
| Einaudi, 2017Di
| Einaudi, 2016Di
| Mondadori, 2021Di
| Einaudi, 2014Di
| Einaudi, 2016Di
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| Laterza, 2013Ti potrebbero interessare
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