Spesso, di fronte a eventi o comportamenti contrari alla nostra etica, sentiamo una parte di noi provare un moto di stizza. Non la semplice stilettata di fastidio o il pungente presentarsi di un riflesso contrario, bensì la
profonda, perdurante sensazione di indignazione, quel senso di ingiustizia che cresce e si tramuta in un avvolgente sentimento capace di smuoverci dalle nostre individualità, e che ci spinge, se non a fare giustizia, almeno a
provare a riequilibrare una situazione scorretta e sbilanciata.Tutto parte da noi. Siamo l’anello primo e ultimo di una catena che, se non si collega agli altri, rimane chiusa in sé stessa.
Non possiamo vivere come oasi nel deserto e, per poter interagire correttamente con chi ci sta accanto, dobbiamo trovare un equilibrio che non sia figlio solo dello status quo. Questa è la chiave di
Odio gli indifferenti (Chiarelettere), una raccolta di saggi in cui
Antonio Gramsci critica l’accettazione passiva di ciò che accade intorno a ciascuno di noi. Con sguardo lucido e tagliente, offre un’analisi politica, sociologica e storica di un’Italia della prima metà del ‘900 che, inaspettatamente, sembra essere la medesima dei giorni nostri. Impossibile non provare una repulsione per i comportamenti di allora e trasferire lo stesso livore anche alla nostra quotidianità.
Indignazione, qui, è smuovere la coscienza individuale.