Luce sulla Storia

«La sfacciataggine dell’assurdo». Marco Cavallo oltre il muro del manicomio di Trieste

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

Il 25 febbraio 1973 è una domenica di festa per l’Ospedale psichiatrico di Trieste. Un cavallo azzurro di legno intrecciato e cartapesta viene portato in corteo oltre i cancelli della struttura. «Marco Cavallo comincia il suo viaggio per il mondo» scrivono in un manifesto dell’iniziativa: un laboratorio artistico inventato giorno per giorno, tenuto teso e vivo dalla partecipazione aperta di artisti, pazienti, medici, infermieri e cittadini.

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

Ma Marco Cavallo è prima di tutto un cavallo vero che vive nel manicomio di Trieste e trasporta su e giù un carretto per la biancheria. Qualche anno prima, una petizione nata all’interno dell’ospedale aveva impedito che la mascotte fosse abbattuta riuscendo a mantenere in vita il cavallo, trasferito poi in Friuli.  È il ricordo di questa presenza, diffuso nella comunità ospedaliera, che ispira la forma della cosa da realizzare nel laboratorio artistico permanente.

A curare le attività, Giuliano Scabia e Vittorio Basaglia, entrambi artisti, di quelli che vivevano il loro mestiere come una dilatazione continua verso atti civili e politici oltre i tracciati canonici delle proprie discipline. «Venite e fate quello che volete. Potete usare un reparto che adesso è vuoto. Inventate», era stato il mandato di Basaglia, allora direttore dell’O.P.P. di Trieste.

La storia della “liberazione” dell’Ospedale San Giovanni – così come era accaduto alla fine degli anni sessanta nell’O.P.P. di Gorizia – è una rivoluzione che passa per dei piccoli gesti di sovvertimento della norma. Come scrive Franca Ongaro Basaglia, attraverso «le cose minute che passo passo si modificavano»: riverniciare una parete, sostituire i mobili bianchi con altri colorati, rompere i segni esteriori della distinzione, eliminando i camici bianchi e quelli grigi e permettendo a tutti di vestire abiti borghesi.

Giorno per giorno cresce la struttura in legno che sarà Marco Cavallo e cresce il laboratorio P, diventando il fulcro creativo di questa trasfigurazione del manicomio. Uno spazio vivente, scrive Scabia: dove tutti possono guardare, disegnare, dipingere, modellare i burattini, discutere, non fare niente, andarsene. Alla base c’è l’esigenza di fare grande – scrivono nella traccia di lavoro del progetto – portando i partecipanti a misurare sé stessi in una dimensione «inusitata e sorprendente».

Le attività durano due mesi prima che Marco Cavallo sia effettivamente pronto a varcare il cancello dell’O.P.P. per raggiungere la scuola elementare De Amicis nel rione San Vito. Ad aspettare il corteo c’è una festa di quartiere, popolare, aperta alla cittadinanza. Scabia racconta nel dettaglio le sensazioni legate a quel momento di attraversamento della soglia. Ricorda la folla all’esterno, il corteo di macchine al seguito della figura portata a traino da un camion, le bandiere e i tamburi festosi. Trieste è semivuota, le serrande chiuse comunicano ostilità nonostante la città sia tappezzata di volantini che annunciano l’iniziativa. Scrive Scabia nella sua cronaca: «è come se il muro che il cavallo ha dovuto rompere per uscire dal manicomio ce lo portassimo addosso».

L’esperienza del laboratorio P è uno dei colpi assestati a quello che si presentava come un sistema monolitico, un’istituzione totale, fondata su repressione, violenza e controllo dei corpi. Lo testimoniano le fotografie di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin pubblicate nel 1969 in Morire di classe e riverberano nei documenti delle assemblee ospedaliere. «In certi punti vedo che siamo uguali a un pacco», dice Giovanna, una delle pazienti dell’ospedale di Gorizia, durante un’assemblea generale del maggio 1967.

Si smonta il manicomio come luogo malato e con esso la sua funzione di difendere tutto il resto attorno, la totalità del mondo sano. La legge 180 del 13 maggio 1978 è il frutto di una lotta – scrive Basaglia – di un furore pratico contro l’istituzione.  È una svolta legislativa determinata in primo luogo da esperienze pratiche come quella di Marco Cavallo, che è un esempio iconico, che portano questa novità fondamentale: il riconoscimento dei diritti dell’uomo, sano e malato che sia; il superamento del concetto giuridico della “pericolosità” del paziente psichiatrico e di conseguenza della necessità della “custodia”.

Tornare a Marco Cavallo significa ricordarsi che un modello di sanità che ponga la persona al centro è il risultato di un processo storico di cui è importante mettere a fuoco la portata, le potenzialità e i passi mancati. Lo stanno facendo in molti, dal basso, attraverso progetti di valorizzazione di quel pezzo di storia ancora in parte inesplorato e controverso. Per citarne soltanto alcuni: il Fòl Festival di Collegno, a Feltre il progetto Feltre città dei matti: per un archivio orale del manicomio di Feltre, il Festival dei Matti di Venezia. Si riportano alla luce gli archivi, si interrogano i documenti e le persone depositarie di quelle storie, si cerca di costruire significati nuovi e contronarrazioni.

 «Tutto ha inizio con un no» – scrive Franca Ongaro nell’Istituzione negata – con un no alle etichette che definiscono ciò che è normale da ciò che non lo è, e schiacciano la complessità delle persone, i contesti di vita, di provenienza, le storie individuali, il loro rapporto con la realtà attorno. Un “no” e una “parentesi”, viene da aggiungere a leggere quella lista di principi: una parentesi dentro la quale confinare gli schemi e le categorie, per poter agire in un terreno non codificato, di scoperta. La figura di Marco Cavallo è passata alla storia come uno dei simboli del superamento di una forma specifica di ospedale psichiatrico, ma in senso più ampio è un simbolo di libertà di espressione, dialogo e di riappropriazione del “fuori” da parte di chi sta “dentro” qualsiasi forma di muro che contiene e nasconde.

Oltre Marco Cavallo, la legge Basaglia

Scritti 1953-1980

Di Franco Basaglia | Il Saggiatore, 2017

La nave che affonda

Di Franco BasagliaFranca Ongaro BasagliaAgostino Pirella | Raffaello Cortina Editore, 2008

Ci chiamavano matti. Voci dal manicomio (1968-1977)

Di Anna Maria Bruzzone | Il Saggiatore, 2021

Le nuvole di Picasso. Una bambina nella storia del manicomio liberato

Di Alberta BasagliaGiulietta Raccanelli | Feltrinelli, 2014

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