Luce sulla Storia

Il diritto di abitare: la questione resta aperta

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2022

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2022

Il 18 aprile 1962, la legge n. 167 istituisce i Piani di zona per l’Edilizia Economica e Popolare. È il IV governo Fanfani con Fiorentino Sullo come ministro dei Lavori pubblici. La legge 167 è un passaggio fondamentale della storia delle politiche abitative condotte dai governi democristiani di centro e poi di centrosinistra. Una storia che si intreccia con le tante storie che dal basso hanno rivendicato il diritto a un abitare dignitoso.

Lo scopo fondamentale della 167 era di guidare l’ente pubblico nella programmazione degli interventi nel settore della casa. I Piani di Zona rendevano possibile l’applicazione dell’esproprio anche per i terreni destinati alla costruzione di residenze e permetteva ai comuni di ottenerli a un costo ridotto.

Ma il percorso legislativo che in Italia ha dato forma alle politiche per la casa è stato un susseguirsi tortuoso di tentativi di riforme, aggiustamenti e interruzioni. I Piani di Zona (PEEP) – come scrive lo storico Guido Crainz – rappresentano il primo passo di una riforma urbanistica che viene subito abortita, senza essere interamente conosciuta, per paura di una seconda nazionalizzazione, dopo quella dell’energia elettrica.

Al IX Congresso nazionale di Urbanistica, il ministro Sullo aveva tenuto un intervento sulla riforma – riportato dalla rivista "Edilizia Popolare" n.49 del 1962:

Non si può rimanere senza strumenti di fronte a migrazioni interne così massicce come quelle che si prospettano, a pena di aumentare a dismisura i costi delle urbanizzazioni e di creare insani agglomerati umani, informi e male articolati. Il sano sviluppo delle comunità italiane non può essere condizionato dall'attribuzione di sostanziali privilegi derivanti dal plusvalore creato dalla evoluzione economica del Paese ai proprietari di alcune decine di migliaia di ettari di terreno urbano. Quando a tali proprietari sia assicurato il giusto prezzo, nessuno dovrebbe opporsi alla instaurazione di metodi per i quali i quartieri nuovi nascano da una proporzione adeguata di aree, destinate a servizi pubblici, a parchi e ad abitazioni private.

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2022

A dare avvio a questa stagione di interventi in tema di abitare era stato il Piano INA-CASA (1949-63), istituito con la legge n. 43 nel febbraio 1949. Il cosiddetto “Piano Fanfani”, nel quale la realizzazione di alloggi economici era pensata come una politica di stampo assistenziale: «per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori». Sullo sfondo di questi primi provvedimenti, infatti, troviamo il problema della disoccupazione e un patrimonio edilizio ancora fortemente compromesso dalla guerra. La politica per la casa assumeva un’importanza strategica a fronte delle condizioni di precarietà abitativa così tanto diffuse sul territorio nazionale. Lo testimonia la proposta di legge “contro i tuguri” del 1952, frutto di una commissione parlamentare guidata dall’ex vicesindaco di Milano, Piero Montagnani – in quel momento senatore del PCI – istituita per elaborare un disegno di legge contro il fenomeno del sovraffollamento e il dilagare di alloggi di fortuna: «baracche, grotte, capanne».

Ma le politiche per la casa sono state mosse e agite anche dalla società civile, che riconosceva in questo diritto una natura sociale e di conseguenza nello Stato un dovere a provvedervi. Negli anni sessanta e settanta si diffonde un’effervescenza inedita della cittadinanza sui temi legati al diritto all’abitare.

Alla metà degli anni sessanta si costituisce l’Unione Nazionale Inquilini e Assegnatari (UNIA), espressione diretta dei partiti della sinistra tradizionale. Nel 1968 è la volta dell’Unione Inquilini, fondata a Milano per iniziativa di grossi comitati di base delle case popolari, un’organizzazione che nel corso degli anni sarà impegnata in occupazioni di case e fabbricati sfitti da Torino a Roma, da Pisa a Napoli. Più a sud, a Roma troviamo l’esperienza del CAB (Comitato Agitazione Borgate), un collettivo autonomo e plurale nella sua composizione, animato da borgatari, baraccati, militanti – come scrive la storica Giulia Zitelli Conti – istituito nell’agosto 1969, in seguito all’occupazione di circa 600 alloggi IACP nel Rione Clelio.

Sono questi gli anni in cui difendere il diritto all’abitare significa entrare nelle case mai consegnate, in molti casi di notte, per iniziare ad abitarle. Due esempi: gennaio 1970, a Torino, in via Sansovino, 90 famiglie delle casermette di Altessano (Venaria) si spostano con le masserizie in 5 nuove grandi case costruite dall'IACP all'estrema periferia della città. Giugno 1971, a Milano, in via Tibaldi, uno stabile IACP viene occupato da abitanti sfrattati dai quartieri popolari o famiglie che abitano in alloggi estremamente precari, da anni iscritti nelle liste di attesa dello IACP.

Una canzone degli Offlaga Disco Pax del 2008, Cioccolato I.A.C.P., rievoca le atmosfere di adolescenze vissute in un blocco di caseggiati dell'Istituto Autonomo Case Popolari di Reggio Emilia:

Era un quartiere caratterizzato da una solidarietà sempre meno intensa, anno dopo anno
E i cambiamenti della popolazione furono rapidi
Ma il nostro campetto era sempre lo stesso
Al campetto i tossici giocavano a pallone con noi ragazzini senza alcun timore di venire cacciati
L'ordine del segretario della sezione del partito comunista era
Potete stare qui ma non spacciate ai nostri figli e non vi fate davanti a loro
Non andò proprio così, ma almeno ci aveva provato
Quel campetto attirava gente strana
Era una terra di tutti e quindi di nessuno, ma molto attrezzata
Panchine, verde, il centro sociale degli anziani sempre aperto
Lo spettacolo della tombola pomeridiana

Perché rievocare questo passato oggi?

A ottobre 2021 a Pisa, nel quartiere di case popolari Sant’Ermete, si è svolto un incontro tra attivisti di varie città d’Italia dedicato alle diverse lotte territoriali per il diritto all’abitare. Casematte – il nome dell’iniziativa – mirava a portare il livello della mobilitazione più in alto, estendendo la rete a esperienze fuori dall’Italia: «Picchetti antisfratto, blocchi delle strade, manifestazioni, sciopero degli affitti e delle bollette, ricorsi all’ONU per il diritto alla casa, sono alcune delle pratiche di cui si è discusso, sempre all’interno di un orizzonte più ampio: non solo per difendere il poco che rimane, ma anche per riprendere quello che è stato tolto», scrivono Stefano Portelli e Marco Peverini su NapoliMonitor. Più recentemente a Milano, un gruppo di militanti del Comitato abitanti Giambellino Lorenteggio è stato condannato per associazione a delinquere in seguito all’occupazione di appartamenti vuoti di proprietà dell’Aler.

Sono soltanto degli esempi dell’urgenza che questo tema ancora rappresenta, anche se in forme diverse, spesso per nuove espressioni di fragilità che parlano altre lingue. Viene da chiedersi che cosa resta di quel fitto intreccio di azioni politiche, oltre ai caseggiati popolari incagliati nelle periferie cittadine, e se conoscere questa lunga storia di solidarietà, agitazioni dal basso e autorganizzazione per la difesa di un diritto sociale può avere una funzione per le lotte della casa in corso oggi.

Per continuare a parlare di un fenomeno in atto ancora oggi

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