Immaginate di voler viaggiare il mondo. Anzi, immaginate di doverlo viaggiare per forza, per non perdere 20.000 sterline ed il vostro onore da gentiluomo inglese di fine Ottocento. E infine, immaginate di dover viaggiare senza cellulare, senza aereo e, cosa peggiore di tutte, avendo appena licenziato il vostro maggiordomo di fiducia. E avendone uno nuovo di appena vent’anni, che è fin troppo espansivo e si mette a posto i capelli con soli tre colpi di pettine. Se riuscite a immaginare tutto questo, vi potete calare nei panni di Phileas Fogg, protagonista di una delle più iconiche storie d’avventura della letteratura.
Un buon inglese non scherza mai, quando si tratta di una cosa tanto seria come una scommessa
Il giro del mondo in 80 giorni inizia al raffinato Reform Club di Londra, dove tra comode poltrone, giochi di carte, tazze di tè e roast beef con funghi parte una bizzarra conversazione: grazie alla nuova linea ferroviaria indiana, è davvero possibile attraversare il pianeta in ottanta giorni?
Il preciso Phileas Fogg non è un uomo particolarmente avventuroso, dato che sa il numero esatto di passi che dividono casa sua dal Club e si scandalizza alla vista di un orologio in ritardo di quattro minuti, ma quando viene messa in dubbio la sua serietà non ha altra scelta: girerà il mondo in ottanta giorni, vale a dire in millenovecentoventi ore, vale a dire in centoquindicimila e duecento minuti.
Ha così inizio un viaggio fatto di locomotive, navi a vapore e perfino slitte: un viaggio fatto per filare incredibilmente liscio, e nel quale, inevitabilmente, tutto, ma proprio tutto, prende una piega inaspettata.
"Il giro del mondo in ottanta giorni" è forse il più noto tra i romanzi di Jules Verne, fonte di numerosi adattamenti televisivi e cinematografici. Il protagonista è un inglese vittoriano di nome Phileas Fogg che, per scommessa con i soci del suo club londinese, si imbarca nell'avventura di fare il giro del mondo in non più di ottanta giorni.
- Un ritardo imprevisto vi può far perdere!
- L’imprevisto non esiste - rispose semplicemente Phileas Fogg
Fogg e il maggiordomo Passepartout attraversano l’Italia, l’Egitto, l’India, la Cina, il Giappone e gli Stati Uniti, destreggiandosi tra tratte sbagliate, imbarchi perduti e passaggi improvvisati, in un susseguirsi di pericoli e fughe rovinose. I protagonisti attraversano pagode, tribunali, fumerie, sopravvivono ad un rito Sati e agli indiani Sioux, per fare infine ritorno in Inghilterra in una costante lotta contro il tempo. Da uomini precisi quali sono, portano la propria impeccabilità in ogni angolo del mondo, e si confrontano con un mondo impreciso, disordinato, confuso, ma incredibilmente vivo.
Per tutta la giornata, l’imbarcazione filò verso nord, trasportata da mostruose ondate. Venti volte corse il rischio di essere investita da una di quelle enormi montagne d’acqua che le si drizzavano dietro, ma un colpo maestro di barra, dato dal pilota, sempre impedì la catastrofe. […] Quanto a Phileas Fogg, sembrava che questo tifone facesse parte del suo programma
Il giro del mondo in 80 giorni ha fatto la storia dei romanzi d’avventura, infondendo nel genere esotismo ed uno stile umoristico e quasi surreale. È un libro che racconta di un viaggio impossibile, che nessuno avrebbe potuto raccontare se non Jules Verne: l’uomo che a soli undici anni scappò di casa per andare in India, per comprare una molto specifica collana di corallo alla ragazza dei propri sogni (nonché cugina). Jules Verne crebbe tra le navi e in nave spese gran parte della propria età adulta, mosso da un’inestinguibile sete di emozioni forti: inadatto ai salotti e alle discussioni intellettuali, passò la propria vita a “fuggire dalla noia”, guadagnando solo coi propri libri, pubblicati a puntate sui Magasin dell’amico Hetzel. E senza questa sua “fuga dalla noia” noi oggi non avremmo l’avventura come la conosciamo, la fantascienza, e nemmeno lo steampunk: Jules Verne portò sempre l’essere umano oltre i propri limiti, facendolo andare al centro della terra, ventimila leghe sotto i mari, o addirittura sulla Luna. Col proprio occhio di riguardo per la tecnologia, rappresentò l’intelletto umano come acuto, capace e potente, caratterizzandolo con la vitalità tipica dei grandi personaggi della letteratura: scrisse di uomini incredibili, perché curiosi, testardi, e determinati.
A 150 anni dalla pubblicazione de Il giro del mondo in 80 giorni (non perdetevi la nostra recensione!) il senso di viaggio e di avventura si è notevolmente trasformato nel cervello umano: spostarsi è diventato più facile e immediato, e girare il globo è diventato più possibile e accessibile. Ma, per qualche motivo, ciò non ha estinto in nessuno lo stesso desiderio che mosse Jules Verne tutta la vita: il desiderio di andare lontanissimo, di incontrare personaggi improbabili, di vedere posti distanti, di essere tirati lontano dalle proprie comode poltrone e, perché no, di fare una rissa su un treno diretto a New York per dimostrare l’importanza della boxe francese. Molte cose, dai tempi di Jules Verne, sono cambiate, e molti dei suoi scritti sono divenuti realtà, ma il bisogno di avventure delle persone è rimasto immutato: il bisogno di vedere i templi induisti, i bisonti americani e di incontrare tante, tante persone. O, in alternativa, di avere tra le mani una buona storia che ne parli.
- Ma, alla fin fine, il mondo è grande!
- Lo era una volta
Di
| Feltrinelli, 2014Di
| Feltrinelli, 2020Di
| Einaudi, 2015Di
| Rizzoli, 2021Di
| White Star, 2021Di
| Penguin Books Ltd, 2020Gli altri approfondimenti
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