Millefogli

La rivincita della cucina del recupero

Illustrazione digitale di Clara Panainte, 2022, studentessa presso l'Istituto Europeo di Design di Milano

Illustrazione digitale di Clara Panainte, 2022, studentessa presso l'Istituto Europeo di Design di Milano

Dobbiamo partire dal cibo come ricchezza, come scambio, come cultura. Solo proteggendo il nostro cibo possiamo pensare di salvaguardare le nostre risorse e il pianeta che ci ospita. La produzione, la distribuzione e il consumo di cibo ci coinvolge in maniera totale

Carlo Petrini, fondatore di "Slow Food"

Una cucina più sostenibile, senza scarti e che punti al riciclo: sembra essere questo (per fortuna…) uno dei nuovi mantra in ambito food.  

La maggiore attenzione all’ambiente è senza dubbio uno degli elementi trainanti di questa tendenza, insieme alla consapevolezza che in questo momento storico anche le singole azioni contano.  

Nel suo discorso d’apertura alla Youth4Climate 2021 di Milano, la conferenza dei giovani sul clima, Greta Thunberg ha affermato che "il cambiamento climatico non è soltanto un problema, ma è soprattutto un’opportunità per creare un pianeta più sano, più verde, più pulito, per il beneficio di tutti". Ed è davvero arrivato il momento di sfruttare questa “opportunità” in modo concreto.  

Il 5 febbraio è la Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, il cui tema è proprio “One health, one hearth. Stop food waste”. Il cibo, è innegabile, ha un ruolo centrale nella nostra vita: dobbiamo mangiare per sopravvivere ma c’è una bella differenza tra farlo con intelligenza, attraverso scelte sostenibili o, al contrario, farlo senza badare a quello che mettiamo nel piatto. 

A livello personale possiamo fare molto per riorientare gli equilibri verso la sostenibilità e il buonsenso. A cominciare dalle decisioni che prendiamo quando facciamo la spesa, quando cuciniamo e quando mangiamo: decisioni che possono realmente contribuire a creare un mondo migliore. 

A proposito di buonsenso: i motivi erano diversi, certo, ma non dimentichiamoci che la cucina anti-spreco e del riciclo fa parte da sempre (o quasi…) del nostro patrimonio culinario. Molte ricette della tradizione, infatti, sono nate dalla fantasia delle nostre bisnonne ma soprattutto dall’arte di “doversi arrangiare”, sfruttando tutto (ma proprio tutto) quello che avevano a disposizione: questo ha aiutato a trasformare avanzi (come le polpette del lunedì fatte con l’arrosto della domenica, quando c’era…) e risorse inusuali e povere (come il pane raffermo o le erbe di campo) in componenti essenziali della cucina di “necessità” diventata in seguito tradizione 

L’inappropiatezza del non finire ciò che è nel piatto rimanda agli anni del Secondo dopoguerra, quando più di metà del reddito di una famiglia media era destinato al reperimento delle necessarie risorse alimentari ed era impensabile buttarne la benché minima quantità. Biasimando lo spreco, è naturale che proprio da quella realtà arrivino buona parte delle ricette del recupero

Carlo Catani

Così afferma Carlo Catani nel suo libro Tempi di recupero .

Pensiamo a piatti come il cappon magro, i passatelli, il pancotto, la panzanella, la torta di pane, i canederli, la ribollita, i mondeghili, la frittata di pasta, la fettunta, i casonsei, il pane mbusso molisano, la panada, la cima genovese, la cialledda materana, la pearà e via di questo passo. 

Oggi la magica arte di riutilizzare gli avanzi di cibo e gli scarti degli alimenti (bucce, gambi, foglie) è diventata un imperativo, insieme a una maggiore attenzione per la stagionalità dei cibi. Alcuni alimenti che abbiamo in dispensa o gli avanzi stessi possono rivelarsi insospettabili protagonisti di intriganti piatti. Una fetta di panettone ormai secca può inserirsi in uno scenografico cannolo, i gusci e le teste dei gamberi diventano un’elegante bisque per insaporire il risotto, le bucce degli agrumi si trasformano in scorze candite, gli scarti delle verdure ci regalano un ottimo brodo vegetale o diventano ingredienti di torte salate e sughi… 

Tempi di recupero. Scarti, avanzi e tradizione nelle cucine dei grandi chef

Una nuova "cultura del riciclo" si sta riaffermando nelle migliori pratiche di cucina in tutto il mondo. Si tratta, in realtà, di un'arte antica rinnovata e riaggiornata alle consuetudini alimentari odierne. Già nelle più antiche società contadine si prestava la massima attenzione a ogni singolo ingrediente disponibile dando spazio alla creatività per massimizzare l'utilizzo di ogni elemento di scarto. Questa rinnovata sensibilità ha coinvolto anche protagonisti della cucina internazionale quali Massimo Bottura, ideatore del progetto «Food for Soul», con iniziative concrete in tutto il mondo dove la cucina del recupero si sposa perfettamente con la vocazione sociale.

Se cominciassimo tutti quanti, nelle nostre piccole cucine, a seguire una dieta con un minor impatto ambientale, sfruttando al massimo gli ingredienti che acquistiamo, riducendo al minimo gli sprechi, puntando sulla stagionalità, sulla territorialità e sul buonsenso, pensate ai risultati che si potrebbero ottenere. È davvero arrivato il momento di iniziare a fare la propria parte 

I piatti del recupero: i (milanesissimi) mondeghili

Un po' a sorpresa i mondeghili, le tipiche polpettine milanesi, si sono ritrovati a occupare un posto di primo piano non solo nelle trattorie più legate alla cucina milanese ma anche nei menu dei ristoranti gourmand. Proposti come piccolo amouse bouche meneghino o come classico piatto della tradizione, i mondeghili stanno vivendo una seconda “giovinezza”. Merito di quel trend nella cultura gastronomica del nostro Paese, che mira a promuovere una cucina senza sprechi. Del resto i mondeghili, per le massaie milanesi di qualche anno fa, rappresentavano il classico “piatto del recupero”, per utilizzare gli avanzi di bollito, arrosto o stufato, a cui aggiungevano salsiccia e mortadella per dare più sapore. Nel 2008 ai mondeghili è stato concesso il riconoscimento di Denominazione Comunale (De.Co.), per sottolineare quanto questo piatto appartenga a Milano e alla sua collettività. A proposito: è stata la dominazione spagnola a lasciare in eredità i mondeghili al capoluogo lombardo. In spagnolo, infatti, le polpette sono chiamate albóndiga (dal termine arabo al-bunduc): dopo qualche passaggio e varie “storpiature” verbali (avete presente il gioco del telefono senza fili?) si è curiosamente arrivati all’attuale mondeghili

Ingredienti (per 4 persone):
400 di avanzi di arrosto o di carne lessata
100 g di luganega (o salsiccia fresca)
100 g di mortadella (coi pistacchi o di fegato)
1 uovo
1 cucchiaio abbondante di prezzemolo tritato
2/3 fette di pancarrè (o 1 panino raffermo)
latte
grana padano
pangrattato integrale
olio extravergine di oliva
burro
noce moscata
sale e pepe

Ammollare le fette di pancarré (o il panino spezzettato) nel latte e strizzarle. Tritare in un mixer la carne, la mortadella e la luganega. Unire il pane ammollato, il prezzemolo, l’uovo, due cucchiai abbondanti di grana. Mescolare bene, regolare di sale, aggiungere un po’ di pepe e la noce moscata. Ricavare dall’impasto delle piccole polpettine, appiattendole leggermente, passarle nel pangrattato e friggerle da entrambi i lati in una padella antiaderente con olio extra vergine di oliva e un po’ di burro (oppure, come vuole la tradizione, solo in burro, ma chiarificato: si prepara mettendo un panetto di burro in un recipiente per il bagnomaria, lo si fa cuocere finché l’acqua del burro sarà evaporata, ottenendo così un “burro” chiaro e fluido, in grado di sopportare l’alta temperatura raggiunta dalla frittura). Servire i mondeghili ben caldi.

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