22 Gennaio 1973. La Corte suprema degli Stati Uniti pronuncia la sentenza che legalizzò l’aborto a livello Federale. Il caso è passato alla storia come Processo Roe contro Wade, un momento di radicale rottura con una diffusa cultura patriarcale che parlava e sovrascriveva incessantemente significati sulle molteplici esperienze delle donne e sulle loro narrazioni.
“Vogliamo educazione sessuale per decidere, la contraccezione per non abortire, l'aborto per non morire” recitano alcuni gruppi femministi argentini, ricordandoci, oggi, che il diritto all’aborto è ancora terreno di lotta.
Rivendicare tale diritto non parla solo di interruzione di gravidanza, ma di educazione, accesso – materiale e politico – alla contraccezione, relazioni di potere, vita e morte delle donne stesse. Il tema del diritto all’aborto è un tema politico e le scelte femminili sono legittimate, informate e assumono un significato a partire dai singoli contesti socio-culturali.
La vera sfida delle rivendicazioni del diritto all’aborto, oggi, si configura proprio a partire da quelle che sono le urgenze e le molte variabili di contesto che informano le esperienze delle donne.
Il caso Roe contro Wade parla di un’urgenza che ha un luogo e un tempo e che proprio perché riconducibile a un contesto specifico assume un significato profondo di rottura.
Il processo ha visto contrapporsi in tribunale un gruppo di avvocatesse a sostenere la causa di Norma McCorvey – Roe è lo pseudonimo della donna – e l’avvocato Henry Menasco Wade che rappresentava lo stato del Texas.
Norma McCorvey era una donna tossicodipendente, madre di due figli dati in adozione a causa della sua dipendenza e non intenzionata a portare a termine la terza gravidanza. Nel contesto socio politico e culturale del Texas anni ’70 l’aborto era consentito solo in caso di stupro o incesto. Il caso si chiude tre anni dopo, con la sentenza della Corte Suprema degli Stati, che decreta la vittoria del team Roe e di fatto sancisce il diritto all’aborto, che diventa legale in qualsiasi circostanza fino al momento in cui il feto può vivere al di fuori del grembo materno, ossia fino alla ventiquattresima settimana.
Quasi 50 anni dopo, Joe Biden si riallaccia a quella sentenza per prendere le distanze dalla nuova legge texana sull’aborto del 1 settembre 2021, secondo la quale la procedura è vietata dopo sei settimane di gravidanza. Proprio il Texas, dove era scoppiato il caso che aveva portato alla sentenza del 1973, che aveva influenzato 46 Stati dell’Unione, fa marcia indietro. Per protestare contro la normativa texana sull’aborto scoppiano le manifestazioni note come “Marce delle donne”, al grido di «giù le mani dal mio corpo». Si accoda anche la portavoce di Biden, Jen Psaki, che a un giornalista di un’emittente cattolica risponde: «so che non hai mai affrontato queste scelte, […] ma per le donne […] che le hanno affrontate, è una cosa incredibilmente difficile».
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