Cavour (Torino), 5 giugno 1561. Nella Casa degli Acaja, Filippo di Racconigi rappresenta il Duca di Savoia Emanuele Filiberto alla firma di un documento epocale. Per la prima volta nella storia dell’Europa moderna, un sovrano concedeva, seppur con qualche limitazione, la libertà di culto alle comunità protestanti del proprio Stato.
Neanche mezzo secolo prima, la rivoluzione iniziata da Martin Lutero e Giovanni Calvino aveva squassato il cuore d'Europa, cristiani contro cristiani in forme di contrapposizione inedite rispetto a quanto visto nel corso del Medioevo, dove pure le dispute religiose erano all'ordine del giorno. E in questa Europa delle guerre scaturite dalla Riforma, dove l'identità tra scontro religioso e scontro politico permea la vita di tutti, il Trattato di Cavour segna un eccezionale cambio di passo rispetto a quanto sancito nel 1555 alla Pace di Augusta: allora, il conflitto tra l’imperatore Carlo V e i principi tedeschi riuniti nella Lega di Smalcalda si era risolto con l’enunciazione del principio «cuius regio, eius religio», l’obbligo da parte dei sudditi a seguire il culto del proprio sovrano.
Non è un caso che proprio il Piemonte svolga il ruolo dell’avanguardia in questo senso. Gli Stati sabaudi, crocevia tra l’Europa centrale, la Pianura Padana e il Mediterraneo, da tempo accolgono nelle valli comunità di esuli, soprattutto francesi, che portano avanti la predicazione del lionese Valdo, osteggiata dall’ortodossia ecclesiastica romana e per questo oggetto di persecuzioni. I «poveri di Lione», conosciuti come «valdesi» dal loro fondatore, nel 1532 stabiliscono l'adesione alla chiesa riformata calvinista, uscendo dal loro stato di clandestinità e scontrandosi con le autorità civili e religiose francesi che dominano in quegli anni il Piemonte.
Il culmine di questa aspra contrapposizione è rappresentata dall'episodio di Goffredo Varaglia. Nato all'interno di una famiglia cattolica molto in vista del Cuneese, ordinato sacerdote ed entrato nell’ordine dei Cappuccini, Varaglia abbraccia infine la riforma calvinista conosciuta in Francia e diviene emissario di Calvino per la predicazione nelle valli valdesi piemontesi. Catturato alla fine del 1557, il pastore viene arso sul rogo a Torino, in piazza Castello, pochi mesi dopo la sua incarcerazione. A distanza di quasi cinque secoli, Varaglia è assurto così a simbolo di quella volontà di autodeterminazione religiosa che è alla base della storia dell'Europa moderna.
Il Trattato di Cavour, voluto dal Duca appena rientrato in possesso dei suoi Stati dopo la pace coi francesi, non è che l'esito di queste vicende: il gesto di Varaglia, la serenità con cui affronta l'esecuzione della condanna, la motivazione data ai protestanti valdesi nel continuare la lotta, portano ad un primo piccolo ma significativo riconoscimento alla libertà di culto, aprendo la strada al concetto di tolleranza religiosa, fino ad allora ritenuto impossibile per uno Stato cattolico.
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