L’8 agosto 1991, trent’anni fa, il mercantile Vlora entrava nel porto di Bari con 18mila albanesi a bordo.
Quel giorno d’estate cambiò la storia italiana delle migrazioni. L’Italia, da storico Paese di migranti e partenze spesso definitive, si ritrovò nei panni di una terra promessa per migliaia di cittadini di origine albanese. Come osserva lo storico Francesco Filippi in “Prima gli italiani! (sì, ma quali?)”, in quell’estate del 1991 l’Italia diventava, per la prima volta, l’America di qualcun altro.
La storica Valeria Deplano afferma che questo evento lasciò un segno tangibile e periodizzante soprattutto sulle modalità di rappresentazione dei migranti (gli albanesi come gli africani): solamente a partire da allora ci si avvalse della riattivazione di paradigmi figli di un etnocentrismo a sua volta figlio del rimosso coloniale. Il fatto che l’Italia negli anni della Repubblica si fosse dimenticata di quel passato, come di quello africano, scrive Deplano, non significa che quel passato non la riguardasse più, ma che non ci aveva fatto i conti: non lo aveva elaborato, non ne aveva sottoposto a critica i fondamenti, le logiche, i valori e gli immaginari. In questo contesto, i discorsi relativi alla inferiorità e alla pericolosità delle popolazioni balcaniche, elaborati negli anni del fascismo, si rivelarono strumenti a disposizione, utili per affrontare la nuova condizione non solo di paese di immigrazione, ma anche di paese parte di una comunità europea in cui le frontiere esterne contavano sempre di più.
Quando diciamo: «Prima gli italiani!» cosa intendiamo? Chi ha la cittadinanza italiana o chi in Italia ci abita? Chi parla italiano? Chi ha genitori italiani o chi in Italia ci è nato?
Come scrive la studiosa Elisabetta Pesole, i primi arrivi nel 1990 hanno rappresentato per la Puglia uno scossone che l’ha destata da un lungo torpore, dando luogo a un processo di ripensamento dell’identità locale: per i pugliesi, difatti, parlare degli albanesi ha significato anche inevitabilmente parlare di sé, avendo finalmente un’occasione per farlo. La posizione di svantaggio materiale e simbolico dei cittadini albanesi, aggiunge Pesole, metteva in mostra la ‘bianchezza’ della popolazione locale, intesa come posizione di privilegio che rendeva i pugliesi visibili a sé stessi come appartenenti ad una categoria "razziale" più affine al Nord sino ad allora percepito come ancora distinto.
L’8 agosto 1991 è un evento storico che dovrebbe essere un promemoria, oggi che le questioni migratorie continuano a essere all’ordine del giorno, con le morti in mare e in terra che si susseguono rendendo evidente l’urgenza vitale/esistenziale di un fenomeno non risolvibile esclusivamente con un più sistematico pattugliamento delle frontiere o con la costruzione di barriere metalliche ai confini, come dichiarato da Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim. La nave fu prima respinta a Brindisi e poi attraccò al porto di Bari. “L’amministrazione e gli abitanti della città hanno reagito con grande umanità nei nostri confronti”, ricorda l’artista Helidon Xhixha che, per celebrare i trent’anni di amicizia tra Albania e Italia, ha realizzato Big Bang, un’enorme scultura esposta nella nuova Piazza Italia a Tirana. Tornare a Bari, dunque, e ricordare la risposta che diede allora il sindaco Enrico Dalfino – "sono persone" – e la successiva attivazione di reti civiche di solidarietà e sostegno oggi è un monito importante. In primis perché permette di porre al centro l’integrazione, superando gli approcci più retorici e guardando concretamente alle esperienze di accoglienza e aiuto attivate fin qui. Ma dall’altro permette anche di guardare al vuoto di progetto istituzionale e alle politiche di corto respiro nella gestione di questo processo, troppo facilmente condizionato da paure e razzismo, soprattutto dopo l’esperienza del Covid.
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