Avete presente quegli amici che conoscete da sempre e con cui siete cresciuti e che, chissà perché, raffigurate incasellati in un particolare contesto o situazione che è ormai parte di loro e che ne ha, con gli anni, determinato connotazioni e caratteristiche specifiche? Ecco, immaginate di prendere questi amici e catapultarli in un ambito del tutto nuovo, inedito, complice o forse reo di acuirne difetti ed enfatizzarne le idiosincrasie più comiche.
È un po’ quello che succede in Viaggiare in giallo (Sellerio), dove gli "Avengers" del crime italiano – sì, anche i vecchietti del BarLume rientrano nella categoria, anche solo nella parte di Guardiani della Galassia - decidono, volenti e non, di abbandonare strade e viuzze familiari in favore dell’incognita avventurosa del viaggio. Insomma, una raccolta Markoviana, per citare Massimo Viviani, il famosissimo barista di Malvaldi, una catena di racconti che, anche se slegati l’uno con l’altro, hanno il pregio di tirarti dentro nelle vicende, in coda per il check-in, biglietto pronto alla mano.
Nella letteratura poliziesca sono molti gli scrittori che si sono messi alla prova con eleganti misteri ambientati in luoghi lontani dal quotidiano, dove l'investigatore deve ancora di più affinare le proprie capacità deduttive.
E si parte col botto, con uno che ha fatto della sua condizione di esule il tratto più caratteristico della sua personalità. Rocco Schiavone, l’orfano di Roma, riesce in un’impresa che sembra impossibile persino per lui. Ovvero schivare una rottura del nono livello impelagandosi in una rottura ancora più grande, a sfiorare quasi il decimo: un’assemblea condominiale. Che poi, qualcuno potrebbe obiettare che qualsiasi scusa per Rocco è buona per lasciare Aosta, ma ve lo immaginate il burbero vicequestore a discutere di facciate condominiali e balconi in mezzo a gente urlante? Quindi, per la prima volta, Manzini ci fa dire addio a un Rocco imprecante che cammina con le Clarks inzuppate tra i vicoli di Aosta e ne accogliamo uno nuovo, sempre imprecante, che indaga tra i vagoni di un Frecciarossa diretto alla capitale. La situazione di per sé già comica viene impreziosita da spazi stretti, odori indigesti e un prezioso ed esasperato alleato: Fumagalli. Il toscanissimo anatomopatologo vedrà le sue velleità vacanziere brutalmente interrotte quando a bordo del treno un’anziana derubata morirà di crepacuore.
Sul Frecciarossa poi ci sale anche l’Enrico, il giovanissimo narratore del racconto di Recami, che, ipnotizzato dal treno, un siluro rosso e cattivo, farà viaggiare la fantasia e i suoi pensieri di cinquenne, fino a ricongiungersi con il nonno, che, diciamocelo, non è proprio un nonno qualsiasi. Amedeo Consonni, l’ex tappezziere improvvisato detective della Casa di ringhiera è parecchio cambiato e indossa strani occhiali, ma soprattutto, l’Enrico si chiede, cosa ci fa da solo in Sardegna con una donna che non è la nonna Angela?
Tra tutti gli Avengers, Carlo Monterossi ci appare forse come il meno spaesato. Sarà la sua aria disincantata e il ruolo ormai consolidato di chaperon allo Sherlock Holmes della Brianza, insieme a Oscar Falcone per l’appunto. Seguiamo il duo in una vera e propria caccia a un cane rapito tra i vicoli meneghini di una Milano che Robecchi tratteggia stanca e sfinita. Viaggiare infatti non sempre comporta il percorrere una distanza; si può essere viaggiatori anche nella propria città che, viziata dopo anni da una vista offuscata, si spalanca inaspettatamente a occhi nuovi e avidi di sfumature.
Le discese ardite e le risalite, come direbbe Battisti.
Se Recami e Robecchi ci fanno infatti tirare il fiato, rallentando il treno e cullandoci con i dolci, malinconici deliri di una mente fanciullina e la rassegnazione inerte dell’ex conduttore televisivo, ci pensa Malvaldi con Ampelio, Aldo, il Rimediotti e il Del Tacca a riportarci a bordo di una crociera adrenalinica dove i passeggeri sembrano colpiti da inspiegabili furti. Gli anziani del BarLume saranno determinati nel venire a capo del mistero, inscenando una vera e propria operazione «Crociati dei Caraibi». E non importa se la crociera è in realtà in rotta verso le isole Canarie, la ciurma toscana, capitanata immancabilmente da Massimo, qui nei panni del professore sfinito che porta gli alunni in gita, è pronta a partire e mettere in ginocchio l’Hesperion Garden. Ed è un po’ come se Agatha Christie incontrasse Scuola di Polizia.
Il ritmo accelera fino alla velocità massima regalandoci un lancio in alta quota, pilotati da Gaetano Savatteri. Saverio Lamanna, innamoratissimo della sua Suleima e rassegnato a una carriera di scrittore a dir poco scricchiolante, vince a sorpresa un viaggio per Praga. E se è vero che Praga non è la città dell’amore per eccellenza, è di certo magica, perfetta per un weekend romantico tra Saverio e Suleima e… Peppe Piccionello. L’esilarante e inseparabile amico dell’ex detective a Praga sembra dare il meglio di sé. Non solo grazie a un insensato guardaroba western che farebbe impallidire il più grande cosplayer di Clint Eastwood, ma anche per riflessioni degne di un vero animo crepuscolare:
Ma questa città ha il pianto in pizzo
Savatteri gioca benissimo con il trope dell’italiano all’estero, confezionandoci una valigia piena di dialettismi, citazionismi pop e letterari, folklori e spionaggio degno di un Le Carré nostrano.
Una via crucis insensata al termine della quale, per lontano che tu vada, ti ritroverai sempre circondato dai tuoi connazionali, quando non dagli abitanti del tuo stesso quartiere
Finiamo con Alicia Giménez-Bartlett e la sua ossimorica Petra Delicado, la spigolosa detective spagnola che però ormai accogliamo teneramente come una di casa, complice forse il volto di Paola Cortellesi a cui siamo abituati a collegarla. E Petra non ama viaggiare, al contrario di Garzón che sembra nato per contraddirla, controparte positiva di tutto quello che Petra detesta. Il sarcasmo esasperato della detective sarà il vero compagno di viaggio a Girona in una caccia al killer disseminata a tra bagagli smarriti e famiglie disfunzionali.
Forse questi personaggi a noi così familiari temono un po’ il viaggio perché il palco in cui recitano è destinato a cambiare. Perché viaggiando succede di conoscere altre persone, confrontarsi e rimanere disorientati davanti all’altro, soprattutto quando quell’altro non è che una nuova versione di sé stessi.
Quindi si viaggia, in qualche modo, per diventare estranei, spezzare la monotonia, rischiare fino disturbare una familiarità tanto sicura. E in Viaggiare in giallo succede proprio questo. Non si tratta di visitare luoghi esotici che donano una patina misteriosa all’intreccio, quanto di salire su nuovi palchi che testano la lucidità dei nostri personaggi, sfidano la loro razionalità e perché no, ne stuzzicano anche l’immaginazione. Dei reagenti che improvvisamente si attivano, vanno incontro a transizione fino a evolversi in un nuovo, sorprendente prodotto.
E allora, non mi resta che augurarvi buon viaggio!
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