Nel 2000, con L’Avversario, Emmanuel Carrère ci ha condotto per mano nel meticoloso e vivido racconto della vita dell’impostore Jean-Claude Romand, fintosi per diciotto anni medico per poi ammazzare, al culmine della sua fragile e folle costruzione di menzogne, la moglie, i figli e i genitori. Nel 2009 è stata la volta di Vite che non sono la mia, testo in cui lo scrittore francese si fa testimone della morte di una bambina di 4 anni e del dolore che ciò rappresenta per i suoi genitori e di quella di una giovane donna, la sorella della sua compagna, con il vuoto che tale scomparsa genera per i suoi figli e suo marito. E poi nel 2014 è la volta dell’eclatante successo globale di Limonov, teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani, e poi vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Infine è da oggi nelle librerie V13, raccolta degli articoli pubblicati a cadenza settimanale sul quotidiano francese “Obs”, largamente ampliati per la presente uscita editoriale, in cui Carrère racconta la sua partecipazione al processo intentato contro i complici e l’unico sopravvissuto tra i colpevoli delle azioni terroristiche accadute a Parigi venerdì 13 novembre 2015, al Bataclan, allo Stade de France e a una serie di bistrot che complessivamente hanno determinato la morte di centotrenta persone e il ferimento di altre trecentocinquanta.
Scandito in tre parti – « Le vittime », « Gli imputati », « La corte » –, V 13 raccoglie, rielaborati e accresciuti, gli articoli (apparsi a cadenza settimanale sui principali quotidiani europei) in cui Emmanuel Carrère ha riferito le udienze del processo ai complici e all’unico sopravvissuto fra gli autori degli attentati terroristici avvenuti a Parigi il 13 novembre 2015 – attentati che, tra il Bataclan, lo Stade de France e i bistrot presi di mira, hanno causato centotrenta morti e trecentocinquanta feriti.
Tutti questi testi, tra i più importanti pubblicati dall’autore, sceneggiatore e regista francese, hanno in comune la sua profonda ossessione per una scrittura che si faccia analisi e disvelamento del mondo interiore di essere umani in preda a traumi, dolori, deliri e follie. L’ossessione per la vita degli altri ha condotto Carrère ad assistere al processo per nove mesi, seguendo le testimonianze dei sopravvissuti, dei parenti e amici dei morti, e poi degli imputati, con l’obiettivo di trovare un senso a questo meccanismo insensato che mescola orrore e pietà, vittime e carnefici, corpi vivi e corpi sperduti, corpi traumatizzati e corpi a brandelli, e poi parenti distrutti, testimoni, spettatori involontari, mitomani, terroristi senza scrupoli, giovani, addestrati e furiosi nel nome di una fede ottusa che non lascia scampo. Lo sguardo di Carrère non eccede mai nei toni, ma si fa sempre attento a cogliere le sfumature di ogni azione e reazione, a comprendere cosa significa ammazzare freddamente un numero inusitato di innocenti e cosa significa continuare a restare vivi quando tutto attorno a te sembra non aver più senso.
C’è un capitolo di V13 che merita di essere letto sopra ogni cosa e che è forse uno dei momenti più alti della scrittura di Carrère. Si chiama “Nadia”, che è il nome della mamma di una delle vittime degli attentati del 13 novembre, Lamia, giovane ammazzata in uno dei bistrot presi di mira dai terroristi, assieme al ragazzo con il quale aveva iniziato a vedersi, la quale al processo ha raccontato minuto per minuto le ventiquattr’ore trascorse tra l’ultima volta che ha visto la figlia e la ricezione della notizia della sua morte:
“Allora” dice Nadia alla sbarra “si è aperta una botola. Siamo stati risucchiati, ingoiati dal fondo di una stiva. Al di sopra, sul ponte, gli altri continuano ad agitarsi. Noi non facciamo più parte di questo mondo con il quale pochi minuti prima eravamo in empatia. Non ho urlato. In me è venuta una dissociazione. Era irreale e reale. Mio marito Jean-Francois ha detto: “Sono triste”, e dal suo tono di voce ho capito che nel suo intimo era distrutto”
Carrère ha dichiarato di aver attraversato un profondo mutamento dopo l’esperienza del processo e l’esperienza di scrittura di questo libro. Simile percezione di smottamento interiore toccherà di certo anche i lettori. La conferma di uno dei migliori scrittori del nostro tempo.
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