Di Malcom Lowry mi hanno sempre affascinato la vita dissoluta, piena di ricerche e di tentativi, di continue cadute, di credenze nelle coincidenze, di sensi di colpa, e, sul piano letterario, i tentativi di iniziare vari generi di opere (romanzi, racconti, poesie, sceneggiature) quasi mai portate a termine, anche se spesso continuamente rivedute e corrette; bozze, progetti, idee poche volte hanno visto la luce, hanno avuto una forma definitiva e completa. Il suo capolavoro riconosciuto, Sotto il vulcano, sorta di "Divina Commedia ubriaca", nelle parole del suo stesso autore, ha avuto varie stesure, rifiutato più volte dagli editori, addirittura salvato dalle fiamme che distrussero la baracca dove viveva nei pressi di Vancouver, grazie alla moglie.
Un'esistenza tormentata: serenità mai trovata, aspettative sempre deluse, lo spettro dell'alcool, violenza latente, angoscia e amore per la letteratura.
L'unica raccolta di versi del grande narratore inglese, autore del celebre romanzo "Sotto il vulcano". Le poesie, tutte di carattere autobiografico, ripercorrono i suoi vagabondaggi per mare e per terra e le sue riflessioni. Una raccolta apocalittica e malinconica che scandaglia gli abissi umani.
La raccolta di poesie L'urlo del mare e il buio, recentemente riproposta da Crocetti editore, rappresenta in maniera esemplare la sua storia: un'antologia che comprende circa un quarto delle centinaia di poesie che Lowry scrisse, mai pubblicate in vita pur se rimaneggiate più volte in vista di un'edizione completa e definitiva che non riuscì mai a realizzare. Furono pubblicate per la prima volta dalla City Lights di Lawrence Ferlinghetti nel 1962, per il tramite della moglie Margerie e di Earle Birney, amico dei coniugi e curatore dei manoscritti di Lowry. In questi versi c'è il suo io più intimo e indifeso, e per questo forse c'era anche più paura o pudore a mostrarsi così esposto.
Divisa in più parti, l'ambientazione si sposta dal mare aperto alle spiagge, alle coste sfiorate dai venti, dalle cantine messicane ai sobborghi cittadini, e quindi l'immagine si riempie di fortunali, di tempeste in arrivo, di bottiglie di mescal, di martin pescatori: la natura è selvatica, alberi e uccelli, ma anche scorpioni e pipistrelli.
Nel mare invece le navi affrontano intemperie e il passare, inesorabile, del tempo, che svernicia le assi e arrugginisce i cavi; si sente l'odore della salsedine ma anche di alghe e sabbia, e il rumore del lavoro faticoso degli uomini, vecchie navi in vecchi porti attendono il ritorno di marinai ubriachi.
In tutta la raccolta si sente l'eco, l'affetto e l'ammirazione per Joseph Conrad e Herman Melville, più volte citati, si riconosce il loro amore per l'avventura e il mare, per gli abissi dell'oceano e dell'uomo, in cui si può sempre sprofondare, onde altissime che, al pari dell'alcool, possono fare annegare chi si trovi disperato, al limite delle proprie forze.
Oltre ai tanti riferimenti letterari (Shakespeare e Dante, per esempio), la silloge mi fa venire in mente anche il progetto musicale di Vinicio Capossela del 2011 Marinai, profeti e balene, che si ispira alle stesse fonti, mentre il senso di disperazione e di incessante senso di colpa rimandano, secondo me, anche a Jack Kerouac, soprattutto nelle opere più tarde, con reminiscenze cristiane, peccati da espiare, e, assieme ai tanti cenni biografici, all'altro poeta maledetto della sua stessa generazione, Dylan Thomas, come ricorda anche Ferlinghetti nella sua nota.
Una disperazione esistenziale che non si attenua neanche con l'arrivo del successo, giunto con la pubblicazione di Sotto il vulcano (ritradotto nel 2018 da Marco Rossari per Feltrinelli): «La fama, come l'alcolista, distrugge la casa del cuore, rivelando che non hai vissuto che per questo. Oh, non aver sofferto il bacio traditore, ma fallire nel buio, sprofondare in eterno».
Le domande della vita non hanno risposte, e forse anche per questo il vuoto non riesce a essere colmato, se non passando dall'euforia all'autocommiserazione: «Finalmente la nave punta verso casa. [...] Forse questa carretta rotola verso un domani che incombe sull'oceano meno che sul fiele dei marinai. È, quella stella, assenzio fra stelle d'amore? Questa nave l'eterno? E dove andiamo? Che la vita ci salvi tutti».
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