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Un ebreo in camicia nera di Paolo Salom

Si portò nell’animo, fino al suo ultimo giorno, le cicatrici di eventi devastanti, di decisioni prese con l’(im)maturità dei suoi quindici anni che, nonostante ogni cosa fosse scaturita dall’istinto di conservazione, lo avrebbero tormentato a lungo.

Mordechai, bambino ebreo che cresce in un ghetto in Romania; Marcello, ragazzo italiano e fascista che arriva a Venezia pochi mesi prima delle leggi razziali; Marseo, giovane padovano che deve la vita al meccanico che gli ha insegnato a guidare una Topolino. Tre nomi e tre identità che dividono la vita di un giovane, ebreo, fascista, italiano.

Un ebreo in camicia nera
Un ebreo in camicia nera Di Paolo Salom;

È il 1938 quando Galeazzo Salom decide di convertire la famiglia al cattolicesimo. La moglie, erede di una stirpe di pii rabbini romeni, si oppone. Ma lui è convinto di poter mettere tutti al sicuro di fronte alla marea montante delle persecuzioni. L’illusione durerà poco. È qui che ha inizio la storia di Marcello, uno dei tre figli di Galeazzo che, ribelle, a sedici anni, nel pieno dell’occupazione del Paese, decide di fuggire dal rifugio in cui sono riparati.

È l’identità il tema centrale di questa storia. L’autore ce ne parla attraverso il dualismo che nasce tra ciò in cui si riconosce Marcello e ciò che il mondo vede in lui. Ebreo, italiano, fascista. Questo ragazzo, che raggiungerà l’età di leva un anno dopo la fine della guerra, vive un conflitto identitario già all’interno della propria famiglia, con il padre Galeazzo che si converte, obbligando così anche la propria famiglia per chiudere una volta per tutte con le discriminazioni, i timori, la diversità causate dall’essere ebrei e la madre, Aurica (o Golditza o Dorina) che si oppose sempre a questa conversione. Una vera e propria guerra familiare, lacerante e distruttiva.

Sarà la spaccatura familiare a dare il via al viaggio di Marcello. Non ha ancora sedici anni quando scappa di casa e si ritrova, poco tempo dopo, a indossare la camicia nera nella speranza di sopravvivere; nel farlo, accantona la propria identità.

Gli squadristi cantarono fino all’arrivo a Milano e Marcello con loro: a Faccetta nera seguì Giovinezza, poi Vincere, vincere, vincere e, infine, l’inno delle Brigate Nere, l’unico che il ragazzo non poteva conoscere. Ma Giancarlo lo aveva subito rincuorato, vedendolo ammutolire proprio all’apice dell’entusiasmo canoro degli squadristi: “Non ti preoccupare, la imparerai in fretta anche te”.

È Paolo Salom a raccontare la storia, vera per quanto romanzata, del padre Marcello. Da diversi anni firma del Corriere della Sera, l’autore ci tramanda fatti spinosi, difficili da concepire con il senno di poi che ci impone la storia, messi in moto da Galeazzo e vissuti dalla sua famiglia. Ma oltre che raccontare per ricordare, Paolo scrive anche per superare le vergogne che trasudano da questi fatti a livello familiare e personale. Vergogne di un ragazzino che nulla poteva e di una famiglia calpestata dalla storia.

Paolo Salom è stato nostro ospite per un'intervista che vi invitiamo assolutamente a leggere.

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