In un film di Ettore Scola del 1968, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa? - di cui il titolo del nuovo libro di Manzini, sempre edito da Sellerio, è un esplicito omaggio - un incredulo Alberto Sordi, partito in missione per ritrovare il cognato perduto, rimane interdetto quando scopre che il parente è diventato un rispettatissimo capo tribù in Africa.
Rocco Schiavone è in missione non ufficiale a migliaia di chilometri da Aosta, con il vecchio amico Brizio. Vogliono ritrovare Furio, l’altro compagno di una vita, scomparso. Furio, da parte sua, si è lanciato a rotta di collo sulle tracce di Sebastiano, il quarto del gruppo, scappato in Sud America per sfuggire ad una colpa tremenda e alla conseguente punizione.
Rocco Schiavone non sa chi troverà una volta atterrato in Sud America. Lui che parte con Brizio alla ricerca di Furio a sua volta scomparso per ritrovare Sebastiano. Un cane a tre teste che si morde la coda. Ma forse il vicequestore lasciando Aosta nasconde dentro di sé una speranza inespressa. Farsi stupire dall’incontro con una persona nuova, irriconoscibile. Qualcuno con cui poter facilmente fingere che il passato non sia mai esistito.
La facciata burbera di Rocco infatti solo in apparenza non tradisce alcuna emozione. Il dolore inflittogli dall’amico è troppo ingombrante, mal celato dalla coperta troppo corta dell’indifferenza.
Sebastiano doveva trasformarsi in un’ombra, una velatura nel mondo dei ricordi per dissolversi con gli anni fino a trasformarsi in fumo, un filo grigio e sottile che si sarebbe confuso con l’aria e col cielo
Chi conosce Rocco Schiavone però lo sa. Augurarsi che l’amico Sebastiano - rivelatosi complice dell’assassinio della moglie - si trasformi in fumo, più che un augurio sinistro, appare un desiderio malinconico. Sì, perché se chiedessero a chiunque di ritrarre il vicequestore, sarebbe sacrilego dimenticarsi di disegnare una sigaretta tra le dita. Un prolungamento irrinunciabile del suo arto. Il fumo, quel filo grigio sottile, lo accompagna ovunque, e da sempre. Sebastiano potrebbe trasformarsi in qualsiasi cosa ora che sembra aver perso ogni contorno ai suoi occhi, eppure il desiderio è che diventi fumo. Un’altra ombra accanto a Rocco. Lui che negli anni i dialoghi più belli li ha riservati a quella della moglie defunta, Marina.
Forse Rocco allora aspira ad avere un altro interlocutore evanescente. Uno a cui, nonostante tutto, sa di poter riservare le parole più vere.
Antonio Manzini torna con un racconto di viaggio. Un’avventura on the road che se da una parte potrebbe rappresentare il tanto atteso turning point nelle vicende del vicequestore, dall’altra lascia ancora, inevitabilmente, una fessura aperta al passato. Mentre Rocco, spalleggiato da Brizio, va alla ricerca di Seba, la sua mente si infesta di ricordi. Immagini di dodicenni che affrontano la primavera, stagionale e adolescenziale, tra le stradine di Trastevere. Diapositive candide nella loro famelica birbanteria, che stridono con quella «nebulosa di richieste, favori, soldi, scambi, riciclaggi, armi, eroina, cocaina, morti ammazzati, bombe» che si aleggia come uno sparviero sulle calles sudamericane. Se la ricerca di Seba, attiva e concreta, si realizza nel presente, a Rocco risulta più facile ridisegnarne i tratti nel passato. Come un nostalgico che rifiuta il fallimento di una relazione, consolandosi con attimi così distanti da sembrare ingannevoli. Tanto che vien quasi il dubbio che la sua sia in realtà una caccia alle streghe. Non tanto perché priva di un fondamento razionale, quanto piuttosto perché al vicequestore risulta ancora difficile percepire Sebastiano come un nemico pericoloso, vanificandone così la ricerca.
Si sorride nell’ultimo rocambolesco episodio di Schiavone, complice il pasticcio linguistico che spazia dallo spagnolo al romanesco, l’allergia di Rocco ai viaggi in aereo e le atmosfere picaresche perfette per la combriccola trasteverina alle prese con malavitosi messicani. Per citare ancora Scola, «E se eravamo in tre te menavamo in tre.»
Si sorride, ma non si ride. Perché a Rocco Schiavone il lettore ormai vuole bene, e ne riconosce l’umore, percependo un impotente senso di smarrimento. L’indecisione che lascia ostinatamente aperto uno spiraglio, l’incredulità che ancora ne destabilizza i passi, facendolo giocare in sordina e di soppiatto, nascondendo con il disincanto il disperato desiderio di un ennesimo colpo di scena.
Fumò dieci sigarette. Ma non fu il fumo a fargli cadere qualche lacrima
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