Un nuovo genere letterario, o meglio un sottogenere della fantascienza, sta riscuotendo sempre più successo tra scrittori e lettori: è il climate fiction, abbreviato cli-fi, un tipo di racconto che coinvolge un futuro non troppo lontano, dove la natura torna a occupare i suoi spazi, costringendo l’uomo a ripensare il suo ruolo predominante.
Nella costellazione di frammenti narrativi che compongono Faune ci ritroviamo immersi in un mondo devastato da inondazioni e inquinamento, e popolato da un parassita che uccide le creature che attacca. A dominare in questo panorama c'è una natura rigogliosa e brutale, allo stesso tempo affascinante e terrificante, che cancella i confini con l'uomo e ne invade ogni spazio.
I toni sono generalmente distopici, una rivoluzione climatica incombe e la natura cerca una via di adattamento in risposta alla crisi ambientale; se l’uomo è causa del problema, la soluzione migliore è quella di prenderne il sopravvento, di eliminarlo lentamente dai giochi, costringendo la nostra specie a strane forme di ibridazione o, in alcuni casi, all’estinzione.
Faune, di Christiane Vadnais, pubblicato da Codice Edizioni, è un chiaro esempio di romanzo cli-fi. Al suo interno il mosaico di narrazioni è tenuto insieme dalla comune presenza di Laura, una biologa alla ricerca di nuovi esemplari di umani “ibridi” da nominare e catalogare. La protagonista si muove in uno scenario quasi alieno, tra specchi d’acqua, lune verdi e una folta vegetazione che piano piano torna a coprire il nostro pianeta.
Qui l’uccisione di un uomo da parte di un leone ha lo stesso peso di quella di un coniglio a opera di una donna, nell’ottica di un ribilanciamento dei regni (minerale, vegetale, animale) a favore di ogni forma di vita, ristabilendo un equilibrio e abbattendo ogni gerarchia.
Licia Troisi lo ha definito «un thriller sulla crisi climatica», un testo di forma ibrida a metà tra divulgazione scientifica, fiction e crime. Lei, che da poco ha sperimentato la via del giallo mandando alle stampe La luce delle stelle per Marsilio - al termine della nostra intervista ne ha parlato in maniera entusiasta:
Lo trovo un libro molto bello, molto adeguato ai nostri tempi, che parla in maniera intelligente di crisi climatica, di corpi, di noi stessi e di come effettivamente questa crisi climatica possiamo affrontarla
È evidente l’approccio critico del libro verso coloro, noi stessi, che sono la causa di questo male, così come l’ironia che sottintende la scelta dei titoli di capitolo in latino, la lingua utilizzata da biologi e scienziati per catalogare nuovi esemplari: una forma di controllo apparente da parte della razza umana che non si accorge di quanto velocemente il mondo, e quindi le specie al suo interno, stiano evolvendo.
Ma come Licia Troisi fa notare, l’intento dell’autrice è anche quello di favorire un generale ripensamento del nostro ruolo nell’affrontare e sconfiggere la crisi climatica in atto, a cominciare dalla valorizzazione di tutto ciò che è “non umano” come qualcosa di libero, che non è egoisticamente a disposizione del solo nostro sostentamento, ma è vivo e indipendente.
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