Perduta nelle oscure leggi, nelle leggi informi di quel mondo fosco, fu invasa dalla nostalgia dell’Eden
Si comincia con tre colpi di pistola. I primi due sono più distanziati, mentre il terzo arriva subito: bang (pausa) bang bang. Poi ci si sveglia in una luce immensa ma fredda, o meglio, priva di temperatura, asettica, come se un gigantesco neon stesse nel cielo; sotto, invece, l’erba. È così che Pablo muore – non sa di essere morto – e si ritrova nell’aldilà. Un aldilà liminale e vagamente inquietante, perché distesa sconfinata affollata di anime che non si capiscono l’un l’altra, perché arrivano da spazi e tempi diversi, accomunate solo dall’essere morte e finite lì. Infine, Pablo si ravvede: non ricorda come, ma sa che è morto.
Una storia sull'aldilà dal sapore epico e al contempo umano, che racconta di come la nostalgia per la vita e per il passato sia l'unico sentimento che resti, alla fine. Una prosa poetica e magistrale di un autore da riscoprire
Libro bianco non è l’opera più famosa di Piero Scanziani, né quella che lo consacrò al grande pubblico. Poco importa, in verità, perché grazie a Utopia stiamo riscoprendo alcune meraviglie di uno scrittore tanto prolifico quanto osservatore dell’umano: i suoi occhi, però, a differenza di molti altri altrettanto attenti, coglievano qualcosa che andava oltre l’uomo, oltre il terreno e il fisico, e si avventurava nel mistico. Ragione, questa, per cui Scanziani ebbe poca fortuna. La sua indagine andava a scovare il perturbante, l’angoscioso, tentando una risposta poetica – ne esistono d’altro tipo? – alle domande su cosa ci sia dopo.
Non sperava, non disperava, cercava soltanto
La prima risposta che Piero Scanziani ci dà sull’aldilà è che non ci rimane nulla – non i vestiti, non i bisogni, non il dolore – se non una cosa: le nostre storie. Unica testimonianza dell’avere vissuto, e quindi dell’essere morti, ma questa è un’eco dantesca. Tutte le anime, anche se non si capiscono, anche se non parlano la stessa lingua né provengono dallo stesso periodo storico, vogliono e pretendono di raccontare la propria storia. Non si sa se per scagionarsi o per vanità, di sicuro per nostalgia, perché in quel prato non resta altro.
Pablo, insieme alla giovane Esel e al vecchio Ling, sono chiamati da un tribunale che somiglia a quello di Alice nel Paese delle Meraviglie a difendere un accusato del tutto sui generis: Adamo. Il lungo elenco di colpe che ha commesso e da cui deve liberarsi porta il racconto a scindersi in due vie parallele e complementari: da un lato il percorso d’accettazione di Pablo della sua condizione non più tradizionalmente viva, dall’altro il resoconto del primo uomo sugli accadimenti dopo la cacciata dall’Eden. Un racconto che sa tanto di mitologico, eroico, eppure calato in un’umanità talmente grezza e veritiera che diventa impossibile prenderne le distanze.
Cominciarono tempi calamitosi
Il tema non è facile, e il linguaggio nemmeno. Raccontare dei primi vagiti del mondo e dell’espiazione ultraterrena è un compito così arduo che gli esempi più facili sono solo due: il Paradiso perduto di Milton e la Commedia. Ed è un libro che ha bisogno di tempo perché, per quanta fretta si abbia, per quanto si voglia procedere, costringe a un ritmo, cadenzato e musicale, ancora una volta, poetico. Costringe il lettore ad avvicinarsi così tanto ad Adamo, a Caino, a Eva e ai loro sentimenti da fargli dimenticare di star leggendo un romanzo e fargli assumere la posa di chi sta ascoltando un racconto cosmogonico dalla voce di un cantore antico.
Un’altra risposta di Scanziani alla domanda sul dopo è che c’è sempre la nostalgia. Dopo la cacciata, Adamo vuole tornare all’Eden. Dopo i numerosi parti e la vita di stenti, Eva vuole tornare l’oggetto del desiderio di Adamo. Dopo essere finiti in paradiso, gli uomini e le donne vogliono tornare vivi.
Tutte le nostalgie, però, possono ridursi alle due archetipiche rappresentate proprio da Adamo ed Eva. Lui vuole tornare all’Eden senza riserve – dimentica com’è stare lì, ma sa che lo desidera – così come l’uomo desidera il paradiso, lo ambisce e affligge la vita terrena per ottenerlo. Eva prova la stessa nostalgia, ma lei è tutta umana, lei prova amore, è protesa verso i suoi figli, prova gelosia, avverte la fame, il passare delle stagioni, e di questo soffre e gode al contempo. Abbraccia quell’esistenza cacciata ed esule e ne trae tutto il bene possibile. Così come chi divora il mondo senza badare al dopo, senza porsi domande, o forse ponendole e poi mettendo a tacere le risposte.
«La mia vita? Quanti dolori»
Le recensioni della settimana
Hai domande, dubbi, proposte? Vuoi uno spiegone? Scrivi alla redazione!
Per poter aggiungere un prodotto al carrello devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.
Per poter aggiungere un prodotto alla lista dei desideri devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.
Il Prodotto è stato aggiunto al carrello correttamente
Il Prodotto è stato aggiunto alla WishList correttamente