L'uomo avvitò il tappo di plastica, asciugò la bottiglia con uno straccio e la soppesò con la mano. Olio da usare per quella maledetta lampada, che rischiarasse i lunghi crepuscoli lividi, le lunghe albe grigie. Così puoi leggermi una storia, disse il bambino. Non è vero, papà? Certo, disse lui. Certo che te la leggo
I lettori più attenti sapranno che è un romanzo da non perdere, che ha vinto il Premio Pulitzer nel 2007, che l'autore ha già pubblicato in Italia numerosi lavori e che il suo Non è un paese per vecchi è diventato un film dei fratelli Coen con Tommy Lee Jones e Josh Brolin.
Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un'apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c'è storia e non c'è futuro.
Ci sono libri che si leggono velocemente, che si divorano come si usa dire, questo no. Questo è un libro da leggere lentamente, con i tempi giusti, con le pause che lo stesso autore ci dice di fare, lasciando alcuni spazi bianchi dove respirare, attendere e poi riprendere. Un romanzo splendido e faticoso che racconta il viaggio verso sud di un uomo e del suo giovane figlio in un mondo post-apocalittico in cui più nulla ha regole, nemmeno la natura.
Quante volte ci siamo soffermati a pensare cosa sarebbe l'esistenza dopo un evento catastrofico che riazzerasse tutto, lasciando i sopravvissuti in balia di sé stessi attorniati dalle macerie ormai inutili della civiltà dei consumi? Quanti autori si sono cimentati con questo tema e quanti film e addirittura serie televisive (I Sopravvissuti, per dirne una, ve la ricordate?) ci hanno raccontato un mondo in cui l'unica cosa che conta è restare vivi?
Con la visione di un pioniere (quella stessa ottica con cui McCarthy ci ha raccontato il west e la frontiera e la loro terribile violenza) ora narra di un mondo in cui è troppo pericoloso accendere fuochi e farsi vedere dagli altri superstiti, in cui bagnarsi potrebbe significare morire, in cui l'unica proprietà possibile è un vecchio carrello della spesa per trasportare le poche vivande e un telo di plastica per ripararsi.
È vero, molti scrittori hanno già affrontato questo tema ma nessuno, forse, come McCarthy.
Al centro del romanzo non c'è l'apocalisse, scontato evento del passato, ma un uomo e un bambino, le loro reazioni, la loro sensibilità, i piccoli gesti quotidiani, i pensieri e gli incubi, le sensazioni anche fisiche, la difficoltà di reperire cibo in un mondo senza vita in cui tutto è coperto di cenere e le poche cose da mangiare sono dentro scatolette e lattine o completamente rinsecchite. Il tutto intervallato dai ricordi meravigliosi e tragici del padre, che al figlio descrive una terra viva e luminosa che non ha potuto vedere.
Lungo la strada – che è emblema dell'americanità – un mondo di oggetti vuoti, di costruzioni abitate da fantasmi, da ombre che solamente chi è rimasto in vita può ricordare. Un mondo di alimenti a lunga conservazione che vengono dal passato e che prima o poi finiranno o saranno anch'essi immangiabili.
La madre del bambino ha scelto da tempo la morte, ha deciso di non sperare e li ha abbandonati. L'uomo e suo figlio invece vedono in qualche modo una luce lontana, malgrado tutto il grigio che li circonda, malgrado la completa assenza di alberi e animali, il freddo, un sole che fu brillante e ora è un lucore nel grigio del cielo. Cercano un calore che forse non troveranno, un oceano che li deluderà, ma continuano a cercare, trascinati da una forza che va al di là dell'istinto di sopravvivenza.
Come «un mondo morente abitato da nuovi ciechi, che lentamente si cancella dalla memoria», chi ricorderà cosa? Resterà qualcuno a raccontare?
Una domanda che si poneva, seppur in termini differenti, anche il protagonista de La nube purpurea di Matthew Phipps Shiel che per tanti aspetti si si può accostare a questo romanzo.
E infine, mi permettete un azzardo? Leggete bene il testo de Il vecchio e il bambino di Francesco Guccini, che moltissimi ricorderanno a memoria. È il miglior riassunto possibile del romanzo che sin dalle prime pagine mi è sembrato il dilatarsi narrativo di questa meravigliosa canzone.
Alla fine, la strada di ciascuno è la strada di tutti Non vi sono viaggi isolati perché non vi sono viandanti isolati. Tutti gli uomini sono uno e non vi è un'altra storia da raccontare
Ed è ciò che questo grande scrittore americano continua a raccontarci.
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