Pubblicato da Guanda nel luglio 2021, La ripetizione di Peter Handke (edizione originale nel 1986) prosegue l’opera di recupero da parte dell’autore austriaco del legame con le sue origini slovene iniziato nel 1972 con Infelicità senza desiderio, breve romanzo in cui lo scrittore Premio Nobel fa i conti con la perdita della madre e, dunque, con le sue radici.
Il protagonista di La ripetizione è Filip Kobal, ragazzo austriaco di origini slovene proveniente da Rinkenberg, nel Land austriaco della Carinzia, ai confini con la Slovenia. La scomparsa del fratello durante la Seconda Guerra Mondiale costituisce l’occasione per il giovane di compiere un viaggio verso l’allora Jugoslavia – "un paese di pace dove noi, la famiglia Kobal, avremmo potuto essere finalmente e stabilmente quelli che eravamo" – non solo per rintracciare le origini dei propri avi, ma anche per trovare il proprio posto nel mondo, per cercare la propria identità.
Filip Kobal, austriaco di origini slovene, a vent'anni si mette in viaggio alla ricerca del fratello, scomparso nell'ultimo conflitto mondiale. Il suo itinerario si snoda dalla Carinzia al Carso, nelle terre tra Austria e Iugoslavia che una volta facevano parte del grande impero.
Per comprendere al meglio questo romanzo bisogna pensare al titolo originale e al suo significato: Die Wiederholung. Questo termine non vuol dire soltanto "ripetizione", ma anche "ripresa". Il significato bivalente della parola tedesca è significativo della condizione di Filip. Egli, infatti, è costretto a un eterno vagare alla ricerca di una riconciliazione tra le sue origini austriache e quelle slovene. Nel momento in cui pensa di aver trovato un luogo che può chiamare casa, si sente subito straniero e deve ricominciare tutto da capo per riprendere il legame con le sue radici. Ripensando alla sua esperienza, al tirocinio e ai suoi viaggi da pendolare verso il liceo, il protagonista afferma che casa sua era diventata "il viaggiare, l’aspettare alle fermate e alle stazioni, l’esser-per-strada". Filip è, quindi, espressione di una "natura confinaria" e "un’esistenza marginale", che lo fanno sentire fuori posto, ma con cui deve fare pace per riuscire a trovare se stesso.
La ripetizione, inoltre, presenta un forte intento metanarrativo. La storia, infatti, alterna i ricordi di Filip relativi alla sua infanzia e adolescenza ai pensieri su suo fratello e i suoi familiari, oltre alle riflessioni sulla scrittura, in cui si può riconoscere lo stesso Peter Handke. Le considerazioni fatte da Filip servono a tematizzare la difficoltà dell'autore di confrontarsi con la memoria del passato e delle origini – difficoltà riscontrata nel già citato Infelicità senza desiderio – e l’incapacità della scrittura di rendere in maniera autentica i ricordi, poiché sempre soggetti alla manipolazione della narrazione.
Come scrive, infatti, il traduttore Rolando Zorzi nella postfazione del libro: "La ripetizione può essere intesa anche come la ripresa (proseguita poi con diversi altri lavori) di una costante rivisitazione e continua ricerca di tutto quanto ha segnato la vita del bambino, del ragazzo, dell’adolescente e dell’uomo Peter Handke". Come Handke, anche Filip si rende conto che le parole da lui usate non sono in grado di afferrare la realtà passata e presente. Tutto si perde col mutare del tempo, e lascia solo una debole traccia della sua esistenza. "Perfino l’andare nella terra del cuore", afferma il protagonista, "non sarà più possibile un giorno, o magari non agirà proprio più. Ma allora ci sarà il racconto e l’andare si ripeterà!". La dimensione del raccontare, dunque, aiuta Filip – e di conseguenza anche l’autore – a confrontarsi con le sue radici e col passato dei suoi avi, mescolando la memoria di ciò che è rimasto con l’invenzione narrativa per cercare quella che in tedesco si definisce Heimat, una “patria”, non necessariamente territoriale, ma anche ideologica ed esistenziale.
La ripetizione di Peter Handke è un romanzo che con una prosa suggestiva, a tratti sognante, in grado di mettere in stretta relazione passato e presente, parla della difficoltà di ognuno di noi nel confrontarsi con le proprie origini e nello stabilire con esse un legame autentico. Se è vero quello che affermava John Steinbeck, ovvero che "sono i viaggi che fanno le persone", allora essere vuol dire vagare di confine in confine, di lingua in lingua, accogliendo in sé ogni tipo di esperienza senza smettere di cercare il proprio senso di appartenenza.
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