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L'ideologia gender è pericolosa di Laura Schettini

L'ideologia gender è pericolosa? La mancanza di un punto interrogativo nel titolo potrebbe lasciar presupporre una risposta affermativa, ma è importante ricordare che anche quest'ultima pubblicazione della serie Fact Checking per Laterza mantiene la consueta scelta di titoli dal tono provocatorio, tratti da affermazioni discutibili, luoghi comuni o vere e proprie fake news da confutare.

In questa occasione, il focus è sullo spettro del gender, mostro proteiforme dai contorni poco intellegibili, spesso dipinto, secondo il pensiero conservatore, come una minaccia contronatura destinata a dissolvere la famiglia tradizionale.

Laura Schettini, storica contemporaneista specializzata nella storia delle donne e di genere, è chiamata a confutare questa tesi attraverso le 150 pagine di L'ideologia di genere è pericolosa, composto da un'introduzione, tre capitoli e un eccellente apparato bibliografico finale. Quest'ultimo è suddiviso in aree tematiche relative alle questioni trattate nel testo. Vale la pena sottolineare l'attenzione con cui è stata compilata la bibliografia e la sua utilità, considerando quanto sia raro trovare in opere divulgative, pensate per un pubblico non specialista, un apparato così ben strutturato.

L'ideologia gender è pericolosa
L'ideologia gender è pericolosa Di Laura Schettini;

Già a metà degli anni Novanta, destra populista e cattolicesimo tradizionalista hanno cominciato a lanciare allarmi contro i pericoli a cui una fantomatica ‘teoria del gender’ esporrebbe la società (o anche la nazione,

Nel primo capitolo l’autrice si sofferma sulla genesi e il successivo sviluppo dell’ideologia gender, un concetto formulato, o meglio inventato, negli anni ‘90 nel Vaticano e tra gli ambienti cattolici ultraconservatori, esempio di costruzione a tavolino di una categoria politica pensata solo per etichettare e racchiudere in un’unica campana diverse tipologie di attori sgraditi, tra cui femministe, donne lesbiche e attiviste per i diritti riproduttivi quali l’aborto.

Secondo l’autrice il gender sarebbe un concetto realizzato in maniera artificiosa per essere messo al centro di una campagna diffamatoria contro le nuove generazioni femministe, accusate di non limitarsi al riconoscimento dell'uguaglianza morale e giuridica dei sessi, il quale, secondo questa prospettiva, dovrebbe costituire il massimo a cui una donna dovrebbe aspirare. In questo contesto, le rivendicazioni gender, secondo le destre populiste e i movimenti pro-life, sfiderebbero l'idea che la natura imponga una differenza innata e biologica tra i sessi come base per i diversi ruoli e compiti sociali, confondendoli tramite identità fluide.

In questo modo, la donna rinuncerebbe, in nome di ideali astratti e contronatura, o scimmiottando il maschio, all’unica funzione naturale capace di realizzarla, cioè quella riproduttiva.

Si verrebbe quindi a delineare un paradosso secondo l’accusa: il neofemminismo, le presunte lobby gay e la fluidità di genere nuocerebbero ai diritti delle donne che, depauperate delle proprie prerogative naturali, diventano un soggetto politico debole, vulnerabile alle mire delle destre populiste.

Sulla categoria di naturale l’autrice si sofferma a lungo ed è il fulcro del saggio, nonché il principale campo di battaglia della critica femminista dagli anni ’70 a oggi.

Sull’uso politico di tale concetto è stato infatti costruito il presupposto filosofico, teologico e giuridico che alimenta il predominio maschile sulla donna, sviscerato nei capitoli successivi in varie declinazioni, tra qui quella dello stupro, lo strumento principale di controllo da parte del maschio.

Basti pensare, come esempio ben descritto da Schettini, alla strumentalizzazione sessuale della figura della madrepatria, ritratta da sempre come donna piacente in vesti discinte e, di conseguenze, come proprietà indifesa da proteggere dall’invasione dei soldati della nazione nemica, con chiaro riferimento agli stupri di guerra.

L'auspicio finale per l’autrice è che il titolo di questo saggio possa perdere il suo tono provocatorio, trasformandosi in una reale minaccia intellettuale nei confronti dell'ordine costituito e rappresentare un rischio per le identità di genere basate su presupposti di supposta naturalità nell'identità, nei corpi e nei ruoli, preconcetti introiettati, in maniera del tutto arbitraria, da millenni di soprusi.

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