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Kafka. Un mondo di verità di Giorgio Fontana

Ma scriverò, nonostante tutto, assolutamente: è la mia battaglia per l’esistenza

Franz Kafka, Confessioni e diari

L’ordine era di bruciare tutto. Tutto o quasi, in realtà, ma è molto più tragico pensare che le ultime volontà di uno dei più grandi scrittori mai vissuti fossero quelle di scomparire una volta per tutte. Franz Kafka sapeva cosa salvare, ed era ciò che lui considerava di valore, ma qualcuno non lo ascoltò, ed è grazie a quel qualcuno – si chiama Max Brod il colpevole, anche lui scrittore – che, alla fine, si è bruciato ben poco.

Quello di Giorgio Fontana, Kafka. Un mondo di verità (Sellerio), non è un saggio di critica letteraria. O forse sì, ma ciò che emerge pagina dopo pagina, parola dopo parola, non è tanto il distacco di chi guarda le cose da lontano per analizzarle.

Kafka. Un mondo di verità
Kafka. Un mondo di verità Di Giorgio Fontana;

Per Giorgio Fontana, l'enigma Kafka è implacabile. Al tempo stesso, però, è importante uscire dalla banalità del mito, dalla spettacolarizzazione racchiusa nell'abuso dell' aggettivo "kafkiano".

Al contrario, in questo libro si sente vibrante la vita di un lettore che ha amato e ama profondamente Kafka, di chi ne parlerebbe di continuo e con chiunque purché si trovi l’aggancio giusto. Una passione che non si dipana in imprecisione né in un trasporto caotico e, infine, ombelicale, ma che invece ha la pretesa di essere capita e in qualche modo trasmessa. Non è neppure, quella di Fontana, un’operazione da commentatori di Kafka che «somigliano a perplessi cronisti medievali alle prese con un fatto tramandato da fonti ormai perdute»: c’è invece tutta la vita e la vitalità di uno scrittore che oltre ai suoi romanzi e racconti e lettere e diari era infinitamente altro, ed è rimasto lì, imprigionato, a dialogare senza sosta con chi lo legge.

Pretendere di aver decifrato tutto significa aver letto male, perché c’è un enigma impenetrabile che Kafka ha cucito nel profondo delle sue righe

A zonzo tra le sue opere e la sua biografia, noi lettori restiamo estasiati come in una gigantesca Wunderkammer. Il libro di Fontana è così, ci si perde ad ammirare ora l’uno ora l’altro libro, l’idea geniale della Metamorfosi e le metafore che stanno dietro i suoi romanzi. Ogni tentativo, però, di leggere nel profondo l’opera di Kafka non solo fallisce, ma spalanca un abisso ulteriore – solo gli sprovveduti pretendono di arrivare a un nucleo stabile, significativo di per sé, senza rimandi. È proprio quanto ci viene detto in chiusura del saggio, quando si parla dell’ambizione di Kafka di essere degno del linguaggio, pur non avendolo raggiunto.

Kafka arriva – e sa di essere arrivato almeno sino a lì – a una dose soddisfacente di significato, ma sa allo stesso tempo che quel punto d’arrivo non è immoto, tutt’altro. È semmai qualcosa che sempre e di continuo cambia, rimanda a uno strato più sotterraneo sempre più paradossalmente ineffabile, una catabasi che procede verso il silenzio animale più che verso la precisione. Ciò non vuol dire che allora Kafka è difficile, impossibile da scoprire o, peggio, che va letto solo in superficie. Vuol dire che il tentativo di lettura è infinito, perché infinita è la stratificazione di senso kafkiana (se non infinita, sicuramente vastissima).

Per quanto Kafka desiderasse bruciare la vita nella scrittura, apparteneva a entrambi i mondi

Ci vogliono entrambi, quei mondi, perché le opere di Kafka funzionino. Si sarebbe tentati di dire da un lato la vita, dall’altro la scrittura, ma nelle sue prose le due si compenetrano andando a fare ciò che deve fare la letteratura: generare vita. Le sue parole brulicano di realtà, sono «rivoluzionarie» proprio perché attingono a un’esperienza vera, che freme ed è incontrollabile. Kafka lo sapeva che c’era qualcosa di inafferrabile là fuori, eppure ha cercato per tutta la sua breve esistenza di trovare la precisione più perfetta per dirlo. Scelta, levigata, smussata, cambiata e contraddetta, ogni parola assume così uno e migliaia di significati, ma non può essere diversa.

È incastonata in una sequenza armonica e in equilibrio che tenta di tenere a bada il caos per un po’, nulla più: non se ne trova un’altra più precisa, per quanti sforzi si facciano. Pur, ci ricorda Fontana, nella vaghezza di termini, personaggi, situazioni: è significativo che non si sappia in quale insetto si trasformi Gregor Samsa, perché Kafka sceglie il termine «parassita». Ma nell’ecosistema del mondo kafkiano – con tutto ciò che oggi significa – non c’è posto per altro. Chi, come la domestica, si convince che quell’insetto sia uno stercorario, tentando una stabilità maggiore, cade in inganno. Così noi, che leggiamo Kafka e non dobbiamo accanirci nel trovare il significato ultimo, ma possiamo bearci di trovarne, sempre, infiniti.

Scrivere dopo Kafka: come fare? a sua assenza ci condanna a uno stato di povertà e confusione: da lui abbiamo ereditato un cosmo talmente ricco, una rivoluzione tanto radicale della scrittura che non solo può pietrificare l’analisi, ma persino rendere impossibile la letteratura stessa

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Nato Saronno nel 1981 e cresciuto a Caronno Pertusella, Giorgio Fontana vive a Milano dove collabora con diverse testate, sceneggia storie per il settimanale "Topolino" e insegna scrittura creativa.Tra le sue ultime pubblicazioni: Per legge superiore (Sellerio 2011), La velocità del buio (Zona 2011), Morte di un uomo felice (Sellerio 2014, Premio Campiello), Un solo paradiso (Sellerio 2016) e il reportage a fumetti Lamiere (Feltrinelli 2019), Prima di noi (Sellerio 2020), Il mago di Riga (Sellerio 2022), Brighton Rock (Sellerio 2023) e Kafka. Un mondo di verità (Sellerio 2024).

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