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Invisibile di Paul Auster

Qualche ora dopo il trasferimento di tua madre in lettiga al manicomio, giurasti sulla memoria di tuo fratello di essere bravo per tutta la vita. Eri solo nel bagno, ricordi, solo nel bagno a ricacciare le lacrime, e con bravo volevi dire onesto, cortese e generoso, volevi dire non prenderti mai gioco di nessuno, non sentirti superiore a nessuno, non azzuffarti mai con nessuno. Avevi dodici anni. A tredici smettesti di credere in Dio

Invisibile di Paul Auster (Einaudi) si compone di tanti tasselli di uno sterminato puzzle, che però, pagina dopo pagina trovano il loro posto: quattro parti in cui si alternano la prima, la seconda e la terza persona narrativa.
Perno cui ruota attorno tutta la vicenda è sempre lo stesso: l’anno 1967

Invisibile
Invisibile Di Paul Auster;

Un libro sulla rabbia giovanile, sulla passione erotica, su un implacabile bisogno di giustizia

Perché nel 1967 ha inizio la nostra storia: Adam Walker, studente giovane, bello, onesto, come si definisce lui stesso, con velleità da poeta, conosce Rudolph Born, professore alla Columbia. Born ha un fascino magnetico: è intelligente, ricco, brillante, misterioso. E gli propone di fondare con lui una rivista letteraria, realizzando i suoi sogni di scrittore.
Ma nel  1967 Adam, che il mondo crede di conoscerlo, tradisce la fiducia di Born e ha una scappatella con la sua compagna Margot, bella come un simulacro, eterea, passionale. Un’educazione all’amore e soprattutto al sesso, che, venuta a galla, non provoca nessun tipo di reazione nell’ambiguo Born. Apparentemente non è successo nulla: la donna se ne va a Parigi, e tutto torna come prima.

Ma una sera di primavera, nel 1967, accade l’impensabile: Adam assiste ad un improvviso scoppio di violenza, Born accoltella un ragazzo che ha cercato di rapinarli. Infierisce sul suo corpo, lo abbandona in mezzo ad un parco. E minaccia l’ingenuo studentello, che credeva di poterla fare franca, di poter far incarcerare uno come lui, forse spia, forse collaborazionista dei servizi segreti, sicuramente con tante amicizie nel Governo. Una specie di colonnello Kurtz (soprattutto nell’inquietante scena finale del romanzo, ambientata ai giorni nostri) che spadroneggia, trasuda male da tutti i pori, ma proprio per questo affascina.
1967 è, infine, il titolo del libro che un anziano Adam Walker
, ormai consumato dalla leucemia, spedisce all’ex compagno di università Jim. Adam si racconta, divorato dai sensi di colpa, dal non essere stato capace di assicurare alla giustizia uno come Born.

Tre capitoli, tre stagioni, tre momenti cruciali: Primavera, l’incontro, la passione e l’omicidio, Estate, l’amore inspiegato e inspiegabile tra Adam e la sorella Gwyn, Autunno, Parigi, la vendetta, la sconfitta.

Geniale, disgustoso, pretenzioso, capolavoro: così è stato definito questo romanzo di Paul Auster, su cui sia la critica che il pubblico si è diviso. Ambiguo e ossessivo, ho pensato io, una volta terminato. 
Chi crede di poter leggere Invisibile come se fosse solo un thriller, lasci perdere. Non è un romanzo di intrattenimento, o forse lo è, ma solo in apparenza.

Invisibile è tante cose: romanzo di formazione (o sarebbe il caso di dire di s-formazione), perché abbiamo un giovane Werther ancora ignaro del mondo e del male; riflessione sugli anni ’60 in America, dove aleggiava il fantasma della guerra in Vietnam, e a Parigi, dove ci sarebbe stata una rivoluzione nel giro di pochi mesi; trattato sull’amore, sulla morte, sulla politica.
Invisibile è Adam, invisibile è l’amore, il sesso, invisibile è il senso di giustizia, ma soprattutto la verità è invisibile. I ricordi di Adam sono affidabili? O sono menzogne come proclama la sorella Gwyn? Born era colpevole o giustamente si definisce vittima del caso?

Domande senza soluzione. Almeno nel libro, perché sicuramente ogni lettore si farà la sua idea, metterà i protagonisti alla sbarra, come imputati in un processo. Colpevoli o innocenti?
Il confine tra verità e finzione, menzogna e realtà, buoni e cattivi, però, diventa, pagina dopo pagina, sempre più labile: l’ambiguità che incolla il lettore alle pagine, il desiderio di scoprire, di vedere, in attesa che tutti i nodi vengano al pettine, è un’arma a doppio taglio. Lasciate ogni speranza, desidererete arrivare fino in fondo...per non scoprire proprio nulla.  

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Conosci l'autore

Paul Auster è stato uno scrittore, sceneggiatore e regista statunitense. Nato da genitori ebrei originari dell’Europa orientale (il nonno paterno era emigrato nel 1901 dalla città ucraina Ivano-Frankivsk), dopo aver studiato alla Columbia University, nel 1970 si era spostato a Parigi dove aveva lavorato come traduttore fino al ritorno a New York nel 1974. L'esordio come scrittore era avvenuto - dopo diversi insuccessi e il divorzio dalla prima moglie, la scrittrice Lydia Davis - con poesie, racconti e articoli pubblicati sulla “New York Review of Books” e sulla “Harper’s Saturday Review”. La sua opera più famosa, subito accolta favorevolmente dalla critica, è la Trilogia di New York (composta dai romanzi Città di vetro, 1985; Spettri, 1986; La stanza chiusa, 1987), che volge in parodia il genere della detective story. Seguirono i romanzi Il paese delle ultime cose (1988), Il palazzo della luna (1989), La musica del caso (1991, dal quale Philip Haas trasse un film nel 1993), Leviatano (1992), Mr. Vertigo (1994) e Timbuctù (1998). Raccolte di racconti sono Il taccuino rosso (1995) ed Esperimento di verità (2001). Auster ha firmato con Wayne Wang la regia di Smoke (1995) e di Blue in the Face (1995), dei quali aveva scritto anche la sceneggiatura; nel 1998 ha diretto Lulu on the Bridge, interpretato da Willem Dafoe e Harvey Keitel, dove appare la figlia Sophie. Ricordiamo poi Viaggi nello scriptorium e Uomo nel buio (2008), La vita interiore di Martin Frost, Invisibile (2009), Sunset Park (2010), Diario d'inverno (2012), Notizie dall'interno (2013), Follie di Brooklyn (2014), 4321 (2017), Una vita in parole (2019), 4 3 2 1 (2019) e Baumgartner (2023). In Italia le sue opere sono pubblicate da Einaudi.Paul Auster è morto nel 2024 dopo una lunga malattia e faticose terapie per il cancro. «Vivere con qualcuno che ha il cancro e viene bombardato con la chemioterapia e l’immunoterapia è un’avventura di vicinanza e separazione» aveva scritto la moglie Siri Hustvedt - scrittrice e studiosa di psicoanalisi, con la quale viveva a Brooklyn dal 1981 -, su Instagram annunciando ai lettori e al mondo la malattia del marito.

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