Ci sono Peter e June dal quale amore sono nati March e Hap, però Peter è un uomo che di amore ne ha tanto, e insieme a Lee ha messo al mondo anche Arlo e Artie. Poi c’è Vera che un po’ ama Hap ma un po’ anche March. Poi c’è tutta la gente di Olympus che ama guardare dentro le finestre, dal buco della serratura le gioie e le tragedie di questa famiglia. La sensazione infatti è proprio questa, in Infelici gli dei: di spiare.
Gli antichi dei greci esistono, e vivono a Olympus, Texas, dove, come da tradizione, sono alle prese con i loro problemi quotidiani, tanto divini quanto vicini a noi mortali. Un romanzo brillante che si inserisce a metà strada tra la saga famigliare e la tragedia greca.
Il nostro punto di osservazione però è distorto, è corrotto da quello che l’autrice vuole farci vedere: tra una pompa di benzina, uno strip bar e campi brucati dal bestiame, a Olympus avviene la trasposizione del mito di Artemide e Orione, con il loro amore spezzato dalla gelosia di Apollo, mentre ciò che legava Ares e Afrodite ancora fa tremare le poco solide basi dell’autostima di Efesto. In soli sette giorni (ogni capitolo infatti è scandito drammaticamente da un giorno della settimana) siamo testimoni di come più di 2500 anni di miti, tragedie, leggende e racconti siano a noi umani così vicini. Le passioni, i tormenti, le delusioni, le paure, la rabbia e i rancori non sono mutati nel tempo, e sono democraticamente validi per le divinità come per i mortali.
A Olympus, Texas, Zeus risponde al nome di Peter, e non ha la capacità di trasformare o trasformarsi per risolvere i problemi, può al massimo far finta di non badarci. Deve così accettare che suo figlio March torni in città, accompagnato dai suoi due cani Romolus e Remus, in cerca di perdono e redenzione, e deve anche accettare le conseguenze che questo comporta.
Ciò che maggiormente ho apprezzato di questo romanzo è la capacità di Stacey Swann di non entrare minimante in empatia con nessuno: non c’è una volta che si lasci andare a una frase di giustificazione, di supporto o semplicemente di compassione. È lei a impersonare la divinità, è lei che ha creato queste donne e questi uomini e li sta facendo camminare su una terra irta di dolore e rancore. Dall’altra parte i suoi figli ci appaiono in tutta la loro miserabilità, si presentano ai nostri occhi carichi di delusione ma non scoraggiati; sono degli eroi dopotutto, e come tali combattono per la propria felicità e volontà.
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