Ocean Vuong, scrittore statunitense di origini vietnamite, è una delle voci più autentiche e intense della letteratura contemporanea. Nato come poeta, è più noto per il suo bestseller Brevemente risplendiamo sulla terra, edito in Italia da La nave di Teseo. Nel suo romanzo autobiografico, Vuong scrive una lunga lettera a sua madre, Rose, una donna vietnamita emigrata negli Stati Uniti. Scrive la lettera in inglese, una lingua che lei non sa parlare:
Riesco ad avere il coraggio di dirti quello che viene dopo solo perché le possibilità che questa lettera ti arrivi sono scarse, la tua incapacità di leggerla è tutto ciò che mi rende possibile scriverla
In questa raccolta profondamente intima, Ocean Vuong viaggia nella memoria, attraverso il tempo e le esperienze vissute. Il punto di partenza è costituito dalla perdita della madre e, spostandosi fra i ricordi, l'autore ci parla del significato della famiglia e delle sue origini vietnamite.
Tutta la sua letteratura è una ricerca del proprio passato attraverso una lingua nuova appresa per bisogno da bambino, una lingua che gli appartiene e al contempo è sempre distante, una lingua che cerca in tutti i modi di fare propria. Il suo romanzo parla di radici, di guerra del Vietnam, della scoperta di sé, di tutto ciò che riesce a nascere quando si resiste alla violenza. Quella resistenza che Leopardi vedeva nella ginestra contro il Vesuvio, anche Ocean Vuong la ritrova nella terra che scampa al fuoco – kipuka, scrive, così chiamano gli hawaiani il pezzo di terra che viene risparmiato dalla colata lavica: prima della discesa della lava, era un pezzo di terra come tutti gli altri; adesso si guadagna un nome, grazie alla sua resistenza.
Nella neve, la silhouette secca di mia madre / Promettimi che non svanirai di nuovo, ho detto / Lei è rimasta là sdraiata per un po’, ripensando / A una a una alle case ha spento tutte le luci / Io mi sdraio sulla sua silhouette, per mantenerla viva / Insieme abbiamo fatto un angelo / Sembrava una cosa che veniva distrutta in una tormenta / Non ho ucciso niente da allora
Ocean Vuong è un autore diretto, intelligente, queer. Esce ora in Italia per Guanda la sua ultima raccolta di poesie, Il tempo è una madre. Come fosse un seguito immaginario dei suoi libri precedenti, prosegue il discorso materno e la riflessione sul proprio passato fin dal titolo. La sua voce poetica è schietta, fatta di immagini inaspettate («Quando mi chiedono come ci si sente, rispondo / Immaginatevi di essere nati in una casa di riposo / in fiamme») e delicatezza, sempre in bilico tra la caduta nel vuoto, l’attrazione del cadere giù e crollare, e la fatica e la spinta di Sisifo.
Tutto parte da questo: sua madre, Rose, è morta. E da qui un nuovo capitolo della sua vita, una scoperta a ritroso; come nell’emozionante poesia Cronologia Amazon di una ex manicurista, in cui Vuong fa un elenco di tutti gli ultimi acquisti online di sua madre, dallo smalto che utilizza per le sue clienti al salone di bellezza, il suo lavoro, fino a una cartolina di buon compleanno poco prima di morire:
Cartolina di buon compleanno «Figlio mio, saremo sempre / insieme», con immagine di Snoopy
Riscopre anche l’assenza di suo padre, in Leggenda americana, una poesia in cui un ragazzo fa sbandare di proposito la macchina, con suo padre sul sedile dei passeggeri, per poterlo abbracciare per la prima volta: «la Ford abbastanza spaziosa / perché non ci toccassimo / mai. & forse l’ho fatto apposta / a prendere il tornante / troppo forte. & il mezzo ha cappottato / come una nuova legge, lanciato ai 120. Forse / avevo voluto, finalmente, sentirlo / su di me».
Wisława Szymborska, poetessa premio Nobel, scriveva di non sapere davvero che cosa fosse la poesia, e di aggrapparsi a questo come alla salvezza di un corrimano. Per Ocean Vuong la poesia è la letteratura perfetta, un genere che già da bambino lo commuoveva anche se in pochi parevano apprezzarlo. È anche per lui una salvezza, un corrimano; è una voce inedita, vedere in una nuova luce il quotidiano - una festa in terrazza a Brooklyn, una camicia rossa spiegazzata ritrovata nell’erba, la morte di una madre. È dare peso a ogni parola, come un fotografo ritaglia dal paesaggio una singola immagine.
Il vietnamita, scrive Vuong, è una lingua in cui sia amore sia debolezza si dicono allo stesso modo: yêu. E allora forse abbiamo bisogno di autori come lui, che non ne abbiano paura. Che sappiano inventare, dall’affetto e dal dolore, parole forti, realtà parallele, far permanere quello che non è più e allargarlo ancora e ancora, anche dopo la sua fine.
vedi? / uno scatto / del mio polso & la casa si solleva / dalla neve / un’ampia veranda - come volevi tu
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