Scelti per voi

Il puma di Jean Stafford

Pubblicato nel 1947, Il puma della scrittrice statunitense Jean Stafford - Premio Pulitzer per la narrativa nel 1970 - è uscito ora per Adelphi, nella magnifica traduzione di Monica Pareschi.

Il puma
Il puma Di Jean Stafford;

Qualcosa di morboso e strisciante, che è del paesaggio, delle presenze che lo animano, degli interni di case occasionalmente trasformate in camere ardenti, accoglie il lettore di questo paradossale romanzo di formazione, in cui all’impossibilità di abbandonare l’infanzia si accompagna quella di rimanere bambini.

Chiudi

Già dalle prime pagine si può apprezzare la straordinaria ricchezza della lingua utilizzata dalla Stafford, capace di rendere la concretezza della realtà, cogliendone il carattere sfuggente e mutevole, e nel contempo di alludere sempre a qualcos’altro. Una lingua “carnale” come il sentimento che lega Ralph e Molly, i due fratelli protagonisti, rispettivamente di dieci e otto anni, che vivono a Covina in California - dove la stessa Stafford è nata - insieme a una madre apprensiva e alle sorelle maggiori, “due impeccabili signorine”, soprattutto se paragonate ai modi villani e ribelli dei fratelli. Magri e slavati, tanto più dopo la scarlattina, Ralph e Molly sono soggetti a perdite di sangue dal naso che li colpiscono nello stesso momento, come precisa la voce narrante, sottolineando così il rapporto simbiotico che li lega e anticipando nell’immagine del sangue la riflessione sulla morte e sul corpo che attraversa l’intera vicenda narrata.

Come accade nei grandi romanzi di formazione, tra i quali Il puma può annoverarsi, la morte con la sua assurda causalità fa capolino all’inizio della storia, lacerando ogni nesso, e invece di accompagnare i protagonisti nel delicato e inquieto passaggio dall’infanzia all’adolescenza, produce in Ralph e Molly reazioni diverse e contrastanti, innescando un doloroso processo di separazione. Quando inizia il romanzo i due fratelli sono ancora uniti, oltre che dal legame di sangue, dallo stesso modo ironico di intendere il mondo, dalle letture precocemente condivise e dall’amore per il nonno Kenyon che vive in un ranch del Colorado e per due settimane all’anno viene a trovarli. Kenyon, che ha viaggiato per tutto il mondo e condotto una vita avventurosa, è una figura mitica, soprattutto per Ralph, continuamente alla ricerca di modelli maschili con cui confrontarsi. La trepidazione con cui i nipoti lo attendono viene bruscamente interrotta dall’improvvisa morte, davanti agli occhi increduli del nipote. Al contrario della sorella Molly che non accetta quanto è accaduto e ne ha paura, Ralph prova una “solitudine crudele che lo aspettava come un cane rabbioso” e non riesce a spiegarsi come si possa continuare a condurre la propria vita indifferentemente: “Sst” bisbiglia Ralph alla madre quando in tono aspro lo invita a scendere le scale: “Non lo sai che è morto il nonno?”.

La morte la si può vedere e toccare, sebbene a Ralph gli torni in mente quando aveva guardato attraverso il periscopio dentro a un sommergibile ed “era così lontano, quello che si vedeva, così acquoreo e bizzarro”. E la si può anche sentire, come l’olezzo dei fiori che proviene dal salotto dove avevano sistemato il corpo e continua a venirgli incontro “come un’onda oceanica”, anche quando il corpo non c’è più. L’unico momento in cui Ralph non si sente oppresso da quel profumo è insieme allo zio Claude, il cui arrivo a Covina segna l’inizio della separazione dei fratelli. Entrambi cominceranno a trascorrere alcune settimane nel ranch, per poi passarci un anno intero: lì, a contatto con una natura bizzosa e feroce, scopriranno un lato oscuro e inconfessabile del mondo e di sé stessi. Contagiato dall’ossessione dello zio per la caccia e dal suo sogno di uccidere un puma femmina che si aggira sulle montagne, Ralph è continuamente sedotto dalla morte e dai corpi: è stregato di fronte al toro che mugghia di dolore e di rabbia, attratto dalla mano senza anello della donna in treno, “come un artiglio” e “la depravazione gli svolazzava intorno come una falena notturna che non riusciva in alcun modo a catturare”. All’opposto Molly si rintana sempre più in sé stessa, nella lettura e nella scrittura: prova disgusto per il mondo degli adulti e ribrezzo per la parola corpo: “pensava a sé stessa come una lunga cassa di legno con una mente al suo interno”. Non potendo più essere un tutt’uno indivisibile con il fratello, Molly inizia a detestarlo, a metterlo nella lista degli imperdonabili, a cui alla fine però è costretta ad aggiungere anche il proprio nome. Nemmeno il sarcasmo che la contraddistingue riuscirà a proteggerla dalla sofferenza.

Stafford scandaglia le emozioni dei due protagonisti, e più in generale di tutti i numerosi personaggi, attraverso una voce narrante che accoglie di volta in volta i pensieri dell’uno e dell’altro: impressionante la sua capacità di ritrarli fisicamente e psicologicamente (indimenticabile Magdalene a cui viene affidata la tragica sentenza che chiude il romanzo), di ricreare le atmosfere e descrivere i paesaggi - facendoci presagire, sin dall’inizio, l’impossibilità per Molly di crescere e per Ralph di rimanere un bambino.

Del puma, che dà il titolo al romanzo anche nella versione originale (The Mountain Lion), vi sono pochissime apparizioni e solo sul finale, ma di tracce è in qualche modo disseminato il libro, a partire dal colore giallo che contraddistingue l’animale; la stessa Molly sembra assumere le sembianze del puma, quando si avvicina al fratello come un “gattino malato” o quando rimane immobile sotto il sole: “Sapeva che la luce rendeva ancora più gialla la sua pelle gialla punteggiata da una miriade di lentiggini lustre”.

Il puma è chiaramente un simbolo, in primis dell’infanzia perduta - non è un caso che lo zio abbia deciso di chiamarlo “Riccioli d’oro” come la protagonista della celebre fiaba - e la sua caccia ostinata riflette la depravazione del genere umano. Come ogni simbolo, Il puma si apre a più interpretazioni: “C’era qualcosa al mondo che non facesse pensare a qualcos’altro?”, si domanda ad un certo punto Ralph, che non a caso “trattava i simboli della vita con la massima prudenza”.

Le recensioni della settimana

La posta della redazione

La posta della redazione

Hai domande, dubbi, proposte? Vuoi uno spiegone?
Scrivi alla redazione!

Conosci l'autrice

Jean Stafford è stata una scrittrice statunitense, vincitrice del Premio Pulitzer per la narrativa nel 1970. Si è laureata alla University of Colorado at Boulder nel 1936, per poi continuare i propri studi all'Università Ruperto Carola di Heidelberg. Tra i suoi romanzi, Il castello interiore (Rizzoli, 2011), Elephi (Adelphi, 2022) e Il puma (Adelphi, 2023).

Leggi di più Leggi di meno
Chiudi

Per poter aggiungere un prodotto al carrello devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.

Chiudi

Per poter aggiungere un prodotto alla lista dei desideri devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.

Chiudi

Il Prodotto è stato aggiunto al carrello correttamente

Chiudi

Il Prodotto è stato aggiunto alla WishList correttamente