Il Guardian l’ha definito un libro immenso. Non per il numero delle sue pagine - che anzi alla fine ci pare contenuto visto quanta vita c’è dentro questo volume - ma perché il romanzo attraversa decenni, oltrepassa deserti, montagne e continenti, incrocia amori e guerre, e finisce per assistere a città che vanno in frantumi e a imperi che si dissolvono.
Quando un certo giorno di giugno del 1914 giunge a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, Rafael Pinto è intento a frantumare erbe e a preparare medicinali dietro il bancone della farmacia ereditata dal suo stimato padre. E invece il mondo esplode. Nelle trincee in Galizia le fantasie adolescenziali di Pinto si scontrano presto con la dura realtà della violenza bellica.
C’è insomma la Storia. Mezzo secolo, più o meno, dal 1914 al 1949: il cuore del secolo breve. E Hemon ci porta dentro le vicende, fin da subito, scegliendo come protagonisti persone comuni. Non solo, l’autore previlegia uno sguardo che osserva di sbieco, fa suo un punto di vista laterale rispetto agli accadimenti principali. Così siamo a Sarajevo, è il ventotto giugno, e l’arciduca Ferdinando è già in città, la folla è già schierata per accoglierlo, ma noi ci ritroviamo invece dentro una farmacia. É l’apotheke di Rafael, giovane ebreo sefardita, omosessuale - di ritorno dai suoi studi a Vienna - che in quel momento, tra il laudano e il barattolo di lavanda, sta cercando, con piccoli gesti, di ricevere le attenzioni di un ufficiale austriaco con baffi e divisa. Difficile immaginare uno spioncino più obliquo per entrare nella Storia proprio nell’attimo di uno dei suoi culmini: da lì a pochi istanti, il mondo infatti, tutto il mondo come lo si conosceva, sarebbe esploso nella follia della Prima guerra mondiale.
Sarajevo. Ancora Sarajevo. Aleksandar Hemon a Sarajevo ci è nato, anche se adesso vive negli Stati Uniti, esattamente dal 1992, dallo scoppio di un’altra guerra, quella in Bosnia. Gli era capitato di essere oltreoceano per un soggiorno di studio e sarebbe dovuto tornare in patria il primo maggio, giorno in cui ebbe inizio l’assedio della sua città. Ma anche nella sua autobiografia Il libro delle mie vite la capitale della Bosnia torna in più stazioni della sua vita: dai giorni felici dell’adolescenza all’attraversamento della città mutilata alla fine del conflitto. E da quella città non poteva che venire poi il protagonista di uno dei suoi libri più belli, Il progetto Lazarus: è Vladimir Brik, un aspirante scrittore che, a distanza di un secolo, si imbatte nella vicenda di un giovane immigrato, sopravvissuto ai progrom nell’Europa Orientale che aveva finito per essere inspiegabilmente ucciso dalla polizia di Chicago a inizio Novecento.
Dentro il Il mondo e tutto ciò che contiene (Crocetti) Sarajevo torna di continuo nella narrazione: come luogo lasciato, come casa, come nostalgia, come famiglia e come miraggio, ma le vicende narrate, dopo quell’inizio fulminante, si spostano da lì. Sì, perché il precipitare degli avvenimenti dopo l’attentato all’arciduca, trascina Rafael al fronte. Ed è in questo scenario di guerra e trincee che Rafael Pinto incontra Osman, suo commilitone che presto diventa suo amante e lo accompagnerà, in un modo o nell’altro, per tutta la vita. Una vita che diventa un lunghissimo viaggio dagli scontri militari in Galizia, alla prigione in Russia al caos di Shangai.
Un viaggio senza confini né barriere linguistiche. Hemon, come Conrad, come Nabokov, ha imparato davvero l’inglese da adulto - e in inglese ora scrive i suoi romanzi - e forse per questo il tema della lingua nelle sue storie è divenuto centrale per la definizione del rapporto col mondo e con se stesso. E così questo romanzo è attraversato da una babele di lingue che si mescolano e si fondono di continuo: bosniaco, tedesco, spagnolo e forse una dozzina di altre.
Comunque lo sguardo che Rafael ha sul mondo ci rimane addosso, e i suoi occhi di mondo ne contengono un bel po’. Un mondo rispetto al quale bisogna imparare a sopravvivere e nel quale dobbiamo aggrapparci a ogni forma di amore vero a costo di tutto e nonostante tutto. Anche a costo di inventarci un modo tutto nostro di andare avanti in cui magari realtà e immaginazione non sono più universi separati che si guardano in cagnesco, ma dimensioni collegate da porte aperte o che comunque potremmo aprire se solo lo volessimo.
Ma, soprattutto, ci portiamo a casa da questo romanzo un gusto funambolico per le storie - lo stesso che Osman ha trasmesso a Rafael - un’attenzione, una curiosità e un rispetto per le storie degli altri che non viene meno, anzi diventa imprescindibile, quando tutto il mondo intorno a noi scivola nelle atrocità.
TOUR DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO
Il 18/11 è a Bookcity Milano
NARRATORI DELLA MEMORIA
Ore 16 centro internazionale Brera con Helena Janeczek. Modera Andrea Tarabbia
(evento organizzato dalla Fondazione Mondadori)
Il 19 a Scrittorincittà a Cuneo - Palazzo della Provincia Sala Rossa
Ore 18.30 con Giorgio Scianna
Il 20 alla Gonzaga University di Firenze - via G. La Pira 11/13
Ore 18.30 con Alessandro Raveggi
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