Un uomo, nel giorno del suo quarantesimo compleanno, torna a casa e trova una festa a sorpresa organizzata dalla donna che ama. Il mattino successivo, però, si sveglia esattamente un anno dopo. Inizia una condanna fatta di una sequela di genetliaci che raccontano come si evolva la sua vita senza che possa farci nulla.
Il regista, Alessandro Aronadio, sta proseguendo il proprio percorso, che fino ad ora ha evidenziato una tendenza rimarchevole: la capacità di girare opere sempre migliori di quelli antecedenti. Considerato che era partito bene ed è alla quarta prova, direi che si può parlare di uno che esce dal coro di quelli sostanti in una zona di grigiore. Aveva esordito nel 2010 con “Due vite per caso”, quindi si era fatto notare col peculiare “Orecchie” sei anni dopo, opera che lo aveva posto all’attenzione della critica e che gli aveva dischiuso anche l’opportunità di ottenere, per il film successivo (“Io c’è”), nomi di richiamo come Margherita Buy, Giuseppe Battiston e soprattutto Edoardo Leo, che non a caso torna come protagonista anche in “Era ora”.
Quest’ultimo, già evidenziato come maggior successo in lingua non inglese nella storia di Netflix, parte dal soggetto di un regista-sceneggiatore australiano, Josh Lawson, che aveva diretto un paio di anni fa “Come se non ci fosse un domani – Long Story Short”, ma viene plasmato da Aronadio stesso insieme a Renato Sannio.
L’idea di fondo è intelligente, perché crea immediatamente un transfer tra il protagonista e gli spettatori, incastrati in una vicenda che innesta una sorta di claustrofobia relazionale che ricorda indirettamente quella messa in scena da Paolo Genovese in “Perfetti sconosciuti” (…ancora una volta con Leo). Lo sviluppo – essendo basato su balzi temporali, cadenzati prima che la frazione narrata diventi noiosa – tende a solleticare interesse, benché gli elementi presi in considerazione non siano eccessivamente originali (come ci si pone, in tal caso, rispetto a lavoro, amore, amicizia, malattia, morte, paternità e rapporti familiari?), seppure cruciali.
A fronte di un plot originale e di una regia ariosa e non televisiva – Aronadio ci sa fare, senza voler strafare – la differenza la fanno inevitabilmente gli attori chiamati in causa. Edoardo Leo si conferma molto credibile, fondamentalmente il volto della commedia italiana della propria generazione, qui capace di sfumature non sempre regalate al pubblico. Emana altresì una simpatia naturale Barbara Ronchi, mentre si fa notare Mario Sgueglia in un ruolo “facile” e necessariamente sopra le righe. Con loro, Francesca Cavallin, Massimo Wertmüller e un redivivo Raz Degan.
In sostanza: la riflessione sulla necessità di capire – prima che sia troppo tardi – su cosa sia necessario concentrarsi, quand’anche non innovativa, è trattata in maniera non banale e costringe a un confronto interiore. Senza dubbi “Era ora” è un bell’esempio di quella commedia leggera (e intelligente) che ci ha visto primeggiare alcuni decenni fa. Che sia di buon auspicio per il nostro cinema tutto.
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