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Don't look up di Adam McKay

© Mymovies

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Mentre il surriscaldamento terrestre porta progressivamente al collasso il pianeta Terra, governi e media tendono a disinteressarsene. Pochi studiosi cercano una via.

Adam McKay dietro la macchina da presa, dopo un inizio di carriera non indimenticabile, ormai dovrebbe garantire solidità. Non potrebbe essere diversamente se si considera che l’ultimo e il penultimo film prima di Don’t Look Up sono stati gli eccellenti La grande scommessa e Vice – L’uomo nell’ombra, nei quali aveva avuto il merito di raccontare pezzi recenti di storia a stelle e strisce unendo ironia a fatti reali, generando un mix narrativo che aveva praticamente dato la stura e una modalità innovativa di portare sullo schermo vicende sulla carta esclusivamente serie.

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La differenza tra quegli ottimi film e Don’t Look Up, ad avviso di chi scrive, sta in un aspetto chiave: se i primi due partivano da quanto già conosciuto o quantomeno ricostruibile, l’oggetto di questa recensione è invece una vicenda creata dal nulla dallo stesso McKay (qui sceneggiatore in solitaria, dopo aver ideato il soggetto con David Sirota) e – considerata l’ineliminabile tendenza al sarcasmo e al parossismo da parte dell’autore –, non essendoci i paletti di un minimo di realismo imposti dalla storia, il regista si sbizzarrisce e forse persino esaspera un tema che certamente merita attenzione, ma forse in maniera leggermente differente.

Ovvero: il film è godibile e la tragica ironia utilizzata fa capire quanto – e questo pare essere reale – dietro impegni di facciata i potenti del mondo in realtà si disinteressino del disastro che stanno contribuendo a non arginare. Solo che, a un certo punto, se si spinge troppo sull’acceleratore dell’eccesso, si rischia di far sconfinare il grottesco nella pasquinata leggera fine a sé stessa.

Inevitabile che il ruolo di protagonista fosse destinato a Leonardo DiCaprio, molto impegnato nella difesa dell’ambiente, qui uno scienziato illuminato debitamente imbruttito, esattamente come Jennifer Lawrence. Il cast di contorno è extralusso, a partire dalla deliziosa accoppiata idiota composta dalla Meryl Streep, Presidente degli Stati Uniti, e da Jonah Hill, stolido figlio tronfio. Senza infine dimenticare i giornalisti televisivi Cate Blanchett e Tyler Perry. Tra i vari, arcinoti i volti di Ron Perlman, Mark Rylance, Timothée Chalamet e la cantante Ariana Grande.

Il lungometraggio dura oltre due ore e un quarto, un’abitudine ormai incomprensibilmente consolidata nel cinema, specie d’oltreoceano, e questo che sembra essere un argomento di secondo piano, invece, non contribuisce alla riuscita finale dell’opera che ha dalla sua l’intento encomiabile di affrontare il topos scelto con un tono diverso dal solito, ma poi si dilata e rischia di reiterarsi, laddove una maggior speditezza avrebbe giovato, una volta messe le carte in tavola. McKay è un talento e proprio per questo uno scatto in più sarebbe stato persino dovuto.

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