Ogni uomo nascendo cade in un sogno come si casca in mare. Il segreto è di adattarsi all’elemento distruttivo, e con sforzi di mani e piedi nell’acqua costringere il profondo, profondo mare a tenerci su
Talvolta si dice, non so se a torto o a ragione, che non si può scrivere di quel che non si conosce. O meglio, non si può scrivere bene. Perciò, quando si legge una biografia di Joseph Conrad, anche se prima non si è passati per i suoi libri (che è comunque un peccato), c’è da aspettarsi una vita avventurosa, passata sul mare tra mille peripezie, all’insegna di incontri inquietanti, illuminanti, straordinari. E, in effetti, quel che si trova nel libro di Giuseppe Mendicino, Conrad. Una vita senza confini (Laterza), è esattamente questo. E qualcosa di più.
Il 3 agosto del 1924 moriva a Bishopbourne, un piccolo e tranquillo villaggio dell’Inghilterra meridionale, Józef Teodor Konrad Korzeniowski, ovvero Joseph Conrad, uno dei più grandi scrittori della modernità.
Per esempio, c’è la giovinezza di Joseph Conrad, trascorsa in Polonia – non era quello, infatti, il suo nome – con un padre rivoluzionario che per la politica avrebbe dato tutto, compreso l’amore per il figlio. E per quanto il piccolo Jòzef potesse sforzarsi, tutta la passione dei genitori era rivolta alla causa. Perciò, come spesso accade, il rifugio preferito di un bambino che non riesce a capire il mondo diventano i libri: quelli di geografia e d’avventura, ed è facile immaginarsi un frugoletto indicare ai suoi maestri un punto lontano sulla cartina e dire «Andrò lì, un giorno».
In noi ci sono più vite in potenza di quelle che la realtà ci permette di attuare
Nelle prime pagine del libro di Mendicino, queste cartine che il giovane Conrad indica hanno degli spazi bianchi – blank spaces – e altri che sono ancora più bianchi – most blank. Sono le terre inesplorate, luoghi dove l’uomo occidentale non aveva ancora messo piede, selvaggi, sconfinati, pieni di un fascino che Conrad non si spiega. È lì che vuole andare da grande, ed è lì che va a finire. Ma la sua non è la vita di un esploratore che, affascinato dall’esotico, trova in terre lontane la purezza e l’innocenza che non si trovano più in Europa. Quando Conrad riesce ad arrivare negli spazi bianchi, alla frontiera del mondo stabile e conosciuto, lì trova l’inferno.
Prima di entrare nei suoi libri, il mondo è stato tutt’intorno a lui, e per un’anima come la sua, permeabile a ogni sensazione ed emozione, quel mondo faceva paura. Ci sono lettere intere, disperate, in cui Conrad è spaventato: dalla morte, dalla malattia, dalla possibilità di non fare ritorno. Ma soprattutto è spaventato dal dover ammettere che il suo sogno è diventato un incubo da cui la dedizione – probabilmente ereditata dal padre – gli impedisce di fuggire. C’è un momento, però, in cui gli istinti più umani, l’amor proprio e tanti altri meccanismi imperscrutabili lo costringono a fare ritorno, ad abbandonare gli spazi bianchi e più bianchi. Ed è solo allora che Conrad diventa Conrad, e comincia a lavorare sull’eredità che ancora oggi leggiamo avidi.
Decidere di tenere saldo tra le mani il timone della propria vita è l’unica cosa che un piccolo uomo può fare quando è circondato dall’oscurità
E dunque, si diceva, c’è un momento in cui la vita di Conrad diventa letteratura. Dopo tanto tempo passato tra i flutti e i tifoni e l’arroganza e il pericolo, quel caos prende forma di parole. È fin troppo facile il parallelismo tra la discesa negli spazi bianchi del mondo e quella negli spazi più reconditi e bui dell’anima. Eppure, forse la metafora è sbagliata e nei luoghi della paura, dell’angoscia, dei nostri timori e terrori non c’è oscurità, ma luce, una luce sconfinata, bianca da far dolere gli occhi e impossibile da controllare finché non si torna a riva, laddove le mappe sono sicure, ben tracciate. Una luce che per Conrad è quella di un mare assolato prima di una tempesta, quando le onde si alzano sempre di più e le nuvole scompaiono nel lucore finché non è troppo tardi.
Le mappe, invece, sono le parole, i libri, l’ordine preciso in cui i fatti ottengono un senso. E credo sia per questo che nella biografia di Mendicino i libri di Conrad hanno così tanto spazio: perché, alla fine della storia, e del mondo, sono stati la sua salvezza.
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