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Appunti sul dolore di Chimamanda Ngozi Adichie

Il dolore mi inguaina a forza in una nuova pelle e mi strappa quella vecchia. Mi pento delle mie passate certezze: bisogna affrontare il lutto, parlarne, attraversarlo. Comode certezze di una persona che non ha ancora conosciuto il dolore

Adichie affonda la lama della scrittura nella carne fresca. Questo libro ha la potenza della ferita esposta, non tamponata, bisognosa di non essere arginata. Questi Appunti sul dolore urlano quello che ciascuno macina nell'ombra del proprio, di dolore, nell'inspiegabile mondo che mette in fila i passi e non si ferma davanti al più mostruoso dei momenti a cui un essere umano è condannato: vivere senza. Queste pagine sono scritte con l'atrocità di chi resta, di chi deve continuare a esistere senza.

La tenerezza è disarmante, tanto quanto la rabbia, la sopraffazione di non poter accettare un'assenza definitiva. Tu lettore guardi dallo spioncino i ricordi di un'altra famiglia, le sue lacrime e ti incastri in un nuovo lessico, che non puoi masticare, non è tuo. Poi non sai bene come, non sai bene quando ma il tuo occhio è nella stanza, è esposto e non sbircia: si commuove. Il terrore del giorno che non immaginiamo arriva e genera un riassetto terrestre che è vulnerabilità e angoscia – mostra a chi scrive, ricorda a chi legge quanto la vita pesi anche solo in un soffio.

Io sono la figlia di mio padre. Un atto di resistenza e di rifiuto; il dolore ti dice che è finita mentre il cuore ti dice che non è vero; il dolore cerca di rattrappire il tuo amore al passato, mentre il cuore lo declama il presente

Adichie ha dato voce a quello che io stessa ho negato davanti al mio dolore, a quello che non volevo mi si attaccasse addosso. Perché non c'era niente da accettare, niente da imparare, niente da continuare. Ma so che il dolore è vento del Pacifico. Dimentica la cura e gonfia l'onda di annientamento. È tsunami improvviso che si scaglia veemente sulle rive della fragilità, la mia, la tua. Vorremmo essere scialuppa ma possiamo solo essere vortice, non ci è concesso neppure un remo consunto. È questo, del dolore, che mi atterrisce: la sua ciclicità infinita, la statura ciclopica, la necessità di nutrirsi del tuo spazio e di quello di chi hai attorno. Sulla sabbia restano dei detriti che appartengono solo alla battigia, non tornano in mare, non arrivano alla terraferma. Ma soprattutto, del dolore, mi spaventa il cambiamento del paesaggio – ciò che eri e non sarai più – una terra priva, una terra che era tua e che adesso non riconosci: perché è vero, sei terra sfiancata ma ancora in tempo, almeno tu, per non morire.

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