La mia generazione (e non soltanto quella) piange Mark Lanegan.
Mai stato una rockstar, ma sempre stato grande. Mai stato rivoluzionario, di per sé, ma dentro e dietro a tante rivoluzioni ed evoluzioni.
Grunge prima del grunge, con gli Screaming Trees, nella seconda metà degli anni Ottanta. Stoner con i Queens of the Stone Age. Punto di riferimento dell'alt rock e, infine, addirittura del revival della new wave, da solista, ma anche con i Gutter Twins formati insieme all'amico Greg Dulli. Senza contare, perché sono davvero tante, le sue disparate e talvolta spiazzanti collaborazioni con gente come Moby, Soulsaver o Isobel Campbell.
C'è da perdere la testa in una discografia così ricca e multiforme. Difficile scegliere, ma ci provo lo stesso. Quella che segue è una guida più emotiva che ragionata. Ma a volte è bello, giusto e, in questo caso, inevitabile lasciarsi guidare dal cuore...
Cominciamo, logicamente, con gli Screaming Trees. Siamo in tanti a pensare che il loro album migliore sia stato Uncle Anesthesia, del 1990, in cui rispetto agli esordi il suono diventa più roccioso, aggressivo, nelle vicinanze del metal. Allora potreste anche recuperare Buzz Factory, del 1989, ancora pieno di sfumature psichedeliche.
Tanti i meravigliosi album solisti, in cui davvero non trovo mai un vero cedimento, ma soltanto picchi, come Whiskey for the Holy Ghost (1994). Qui Mark Lanegan si rivela una sorta di crooner del rock alternativo, con sentori di blues cupo e dolente. Una voce straordinaria, unica, forse la migliore di tutta quella scena, perché capace di essere fuori dal tempo, universale. Caldissima senza mai essere sdolcinata, calibrata eppure naturale.
Fra i dischi solisti, ho amato anche quelli dell'ultima fase, caratterizzati dalla sorprendente svolta elettronica avvenuta con Blues Funeral (2012). Incredibilmente preceduto da un album in bilico fra folk e rock come Bubblegum (2004).
Compie vent'anni Song for the Deaf, il capolavoro dei Queens of the Stone Age. La formazione è da paura: Josh Homme e Nick Oliveri, che mi fanno venire vogli di parlarvi a lungo dei Kyuss (lo farò, prima o poi), Dave Grohl al suo apice come batterista e proprio Mark Lanegan, lato oscuro di un disco che forse, senza di lui, sarebbe risultato fin troppo "catchy".
E ancora più oscuro, quasi dark, è il sound di Saturnalia (2008) dei The Gutter Twins, vale a dire Mark Lanegan insieme a Greg Dulli. Disco da recuperare, assolutamente.
Per inciso, al progetto parteciparono, in un lungo tour americano, anche i nostri Afterhours.
Qualche fan di Lanegan duro e puro non apprezza particolarmente il suo sodalizio con Isobel Campbell, ex Belle and Sebastian, ma trovo che almeno Hawk (2010) sia un lavoro da tenere nella più alta considerazione. Qui Mark Lanegan dà prova del versatilità della sua voce e del suo stile, nei territori del folk e persino del country.
E qui mi devo fermare, per questioni di spazio. So che stanotte faticherò a prendere sonno, rimproverandomi di avere tralasciato questo e quest'altro disco. Prendete quello che vi ho proposto soltanto come il punto di partenza per un viaggio lungo e bellissimo, anche se purtroppo giunto recentemente alla fine.
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