Tracce di Tito

In musica, cinque non è il numero perfetto

Appoggio il bicchiere sul tavolo, faccio roteare il vino come se fossi un grande esperto (e non soltanto un discreto frequentatore), annuisco pensosamente fra me e me, poi sparo: "Certo, trovare un disco perfetto è difficile".

C'è un attimo di silenzio, attorno a me. Ho ottenuto quello che volevo. Dimenticandomi che nella vita bisogna stare attenti, appunto, a quello che si vuole.

"Che cosa sarebbe un disco perfetto?" mi chiede uno degli amici.

"Un disco dove ogni pezzo è bellissimo, dove non c'è nemmeno un calo. Non dico un riempitivo, figuriamoci, ma anche soltanto un minimo cedimento."

"Per esempio?"

Bevo un sorso, per prendere tempo. "Non so," comincio a rispondere. Ma in realtà lo so. "Closer dei Joy Divison."

Cenni di assenso, ma anche occhi alzati al cielo. Vabbè, ragazzi, ho diritto alle mie ossessioni. "Ma anche To Bring You My Love, di PJ Harvey," aggiungo.

"Ah, sì, molto bello," dice uno.

"Bellissimo," dice un altro.

"No," dico io. "Bellissimo non basta. È perfetto, per me."

"Per te, Tito. Ma un disco perfetto è pure un capolavoro?"

Ottima domanda. "Non so," ripeto. E questa volta non lo so davvero. "Non è detto. Credo che per capolavoro si debba intendere un disco che abbia lasciato un segno profondo, influenzando la storia della musica."

"Sgt. Pepper," dice uno che finora era stato zitto e guardingo.

"Chiaro," rispondo. Altri cenni di assenso. Potrebbe finire qui, ma questa è la mia serata spericolata. "Comunque, è rarissimo che una band, un artista abbiano fatto cinque dischi perfetti. Che siano anche capolavori. Nemmeno i Beatles..."

Coretto di "No, dai!"

Enumero con le dita, precisino: "Sgt, Pepper's Lonely Hearts Club Band, d'accordo. E poi, vediamo... Revolver, l'album bianco e Abbey Road. Fanno quattro."

A questo punto, gli animi iniziano a scaldarsi. Pure negli altri tavoli, dove qualcuno si è messo ad ascoltarci.

C'è chi mi accusa di avere dimenticato Rubber Soul e Let It Be. E chi, di contro, sostiene che in base alla mia logica l'album bianco non è perfetto.

"Vero," gli dico. "Poteva essere più corto."

"Quindi, è possibile che un disco sia un capolavoro... ma non sia perfetto?"

"Be', sì," ammetto.

Intanto la discussione continua a crescere riguardo la questione dei cinque dischi, dilagando per l'intero locale. Un'osteria in Bovisa che, mi pare di ricordare (e mi piace pensare), un tempo fu un circolo anarchico.

Mi ritrovo nella posizione di contestatissimo arbitro. Me la sono andata a cercare.

I Rolling Stones?

"Mmm... Beggars Banquet, Sticky Fingers, Exile on Main Street e Aftermath," elenco, in ordine sparso. Non me la sento di aggiungere Let It Bleed, anche se puntualizzo che in quasi tutti i dischi degli Stones, perfino nei "brutti", c'è quantomeno una perla.

I Pink Floyd?

"Valgono soltanto fino ad Ummagumma," comincio a rispondere.

Non mi lasciano nemmeno iniziare il conto. "Non ti piace The Dark Side?!"

Bevo, in cerca di un diversivo.

Nel mentre, il nostro tavolo è diventato il centro dell'attenzione, con focolai che si estendono in tutto il locale. Noto che un tizio sta nominando Frank Zappa e spero che non mi interpelli, perché non mi sento abbastanza preparato e dovrei dargli ragione sulla fiducia. Come si fa a contestare Zappa? Che gli vuoi dire?

A un certo si presenta al tavolo un fan dei Queen, ma basta un'occhiata per farlo rinculare tristemente.

Due cultori di Bob Dylan si mettono a battagliare fra di loro, restando entrambi vittime del fuoco amico. Peccato, perché era un'ottima candidatura.

Salta fuori il nome di qualche italiano. In primis, figuriamoci, Fabrizio De André. Con moooolta cautela, misurando beeeene le parole, spiego che - secondo me, sempre - "forse" non può essere considerato un artista così influente, dato che lui stesso è stato influenzato da altri. Stranamente, nessuno va a prendere pece e piume. Dev'essere la mia serata fortunata, oltre che spericolata. Oppure, nel caos generalizzato, le mie parole sono andate perdute. Del resto, ormai mi posso permette di bisbigliare impunemente "Lucio Battisti". (Detto tra noi, a volte penso che Anima latina sia il più bel disco italiano di sempre.)

Un attempato bevitore propone Francesco Guccini, ma poi non riesce a ricordare neppure il titolo di un disco. Squalificato.

Un altro pensa di avere facile gioco con i Led Zeppelin. Sì, bravo: i primi quattro omonimi album. E poi? "Ma sì, quell'altro, con le finestre..."

"Zitti! Non vale suggerire!"

Mentre i toni della discussione salgono, la lucidità diminuisce e il tempo passa. Si è fatto tardi. Dopo avere scatenato la baraonda, me la filo con astuta disinvoltura. "Poi mi raccontate, eh?"

Ma il giorno dopo nessuno mi racconta niente. La battaglia deve essersi conclusa senza vincitori, per abbandono di campo.

In compenso, durante la notte mi sono svegliato di colpo, sbarrando gli occhi. "Oh, cazzo... David Bowie!"

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