Vincenzo Cerami: autore molto celebre ma, paradossalmente, non così conosciuto. A dieci anni dalla sua scomparsa - che ha prodotto un sensibile vuoto in due ambiti della cultura: la letteratura e il cinema -, ne tracciamo un ritratto, un profilo a carboncino, sfumando con leggerezza gli elementi salienti del suo lavoro e della personalità tragica e ironica, drammatica e divertita.
Volano le canzoni
sulle ali dei refrain,
sembrano gli aquiloni,
cantano chi non c'è.
Cantano chi è fuggito
e non ritornerà
Ho incontrato Vincenzo Cerami più volte nel decennio a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio degli anni Duemila. Quando ti capita la fortuna di intervistare un autore ripetutamente, ne diventi quasi un confidente. Le trascrizioni non rendono appieno l’idea delle chiacchierate a microfono spento, degli aneddoti, dei racconti personali.
Non è facile ricostruire l’immagine di una figura così celebre, ma che ha saputo mantenere il giusto distacco tra la popolarità e il privato lasciando spesso ad altri il trionfo del palcoscenico. Proviamo quindi a tracciarne un ritratto cogliendo, proprio da quegli incontri, elementi salienti del suo lavoro e della personalità.
Allievo di Pier Paolo Pasolini nella scuola media di Ciampino dove lo scrittore friulano insegnava lettere – “se non lo avessi incontrato la mia vita sarebbe stata diversa” – da lui ha imparato “la passione e la curiosità per il mondo”; ha successivamente lavorato con lui come aiuto regista per Comizi d’amore, Uccellacci e uccellini e l’episodio Le streghe del film La terra vista dalla Luna.
Amico fraterno di Roberto Benigni, Cerami ha collaborato con l’attore toscano per molti anni e a tanti progetti, arrivando a vincere il Premio Oscar con La vita è bella. “Benigni è un genio fragile, penso che uno dei miei compiti sia proteggerlo”.
Frequentatore di ambienti internazionali, ha sposato in prime nozze la bellissima attrice americana Mimsy Farmer, dalla quale ha avuto la figlia Aisha. Poi si è riavvicinato al mondo delle origini, sposando la cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi, da cui ha avuto il secondo figlio, Matteo.
Se gli chiedevi il nome di qualche amico ti citava Tom Waits “una persona straordinaria”, Nicola Piovani “veramente bravo nel cucinare le minestre”, Paola Caròla, “bellissima donna che ha ispirato Raffaele La Capria nel suo Ferito a morte”, Vincenzo Mollica, Monicelli, Scola, Albanese, Giulio Einaudi… “sono stato io a portare alla casa editrice Paolo Repetti, che era un mio allievo e amico, per fare una collana nuova [Stile libero, ndr], giovanile, aperta ai linguaggi moderni”.
Molti dei suoi temi, anche se di riflesso, arrivano dalla lunga esperienza all’estero: «Ho viaggiato tanto dai 27-28 anni fino ai 40 anni quando facevo il “gagman”, scrivevo le gag per il cinema. Sono stato 6-7 mesi in Giappone, sono stato in Messico, ho girato molto e ho avuto la fortuna di vedere alcune cose prima che scomparissero.»
Ma Cerami è anche quello del Borghese piccolo piccolo – tragica satira delle frustrazioni piccolo-borghesi che divenne la sceneggiatura di un film con Alberto Sordi diretto nel 1977 da Mario Monicelli - e di quel meraviglioso libro di racconti-verità intitolato Fattacci in cui si nasconde una narrazione inarrivabile della vicenda romana del canaro: sa costruire la tragicità, il dramma così come il comico. Un uomo aperto e pieno di relazioni, ma anche uno scrittore intimista.
«Bisogna tener presente che i film comici quando si pensano, quando si concepiscono, non sono comici. Le idee non sono comiche. Comico è il risultato di come hai raccontato un fatto.»
Partiamo da La lepre (1997), Amorosa presenza (1978), l’opera in versi Addio Lenin (1981), L’ipocrita (1991), per arrivare fino alle sceneggiature scritte a quattro mani con Benigni e pubblicate da vari editori (Johnny Stecchino, Il mostro, La vita à bella, La tigre e la neve) e infine a L’incontro, La sindrome di Tourette e Vite bugiarde. Del 1996 un testo Einaudi purtroppo introvabile: Consigli a un giovane scrittore.
Con El Desperado di Franco Rossetti inizia nel 1967 la sua carriera di sceneggiatore, proseguita per oltre 40 anni collaborando con registi come Bellocchio, Amelio (“ho fatto tre film con Gianni Amelio, due con Bellocchio”), Monicelli, Scola, Veronesi ma sapendo anche rapportarsi con l’ironia di Albanese o Nuti (per il figlio Matteo scrive la sua ultima sceneggiatura Tutti al mare del 2010). “Con Benigni o Albanese ho un personaggio-maschera, quindi lavoro drammaturgicamente su figure molto particolari e in quel caso si deve assumere uno stile particolare. Ma modifico lo stile in base al materiale che ho a disposizione”. Tra i tanti film ricordiamo un vero capolavoro, la costruzione esemplare di una giornata estiva sul litorale laziale a Ostia di vari personaggi del popolo: Casotto di Sergio Citti (1977), nella sua filmografia accanto a Colpire al cuore di Amelio, Il piccolo diavolo di Benigni, Manuale d’amore di Giovanni Veronesi e tantissimi altri.
Le collaborazioni che non ti aspetti: con Milo Manara per il fumetto Gli occhi di Pandora, quella con Francesco Guccini nel gioco della memoria Storia di altre storie, quella con la disegnatrice Silvia Ziche per i fumetti classici sull’Olimpo.
Osservatore, indagatore della realtà, curioso di scoprire anche i più piccoli particolari della vita delle persone. Tutto questo veniva poi riportato nelle sue sceneggiature e nei suoi libri, perfettamente calibrato con l’estro creativo, di cui certamente non difettava. Ed era molto evidente il suo desiderio di non scollarsi dalla realtà, il non entrare in quella famosa torre d’avorio degli intellettuali, “non sopporto lo scrittore-Vate”.
Sempre diviso tra due poli importanti dell’editoria italiana, Einaudi e Garzanti, Cerami racconta così il suo esordio e l’iniziale scelta di Garzanti (poi passò a Einaudi per tornare nuovamente a Garzanti):
Io sono "nato" alla Garzanti. All'epoca del mio esordio letterario fu Pasolini che mi suggerì di scegliere tra due possibilità, due editori. Quando ho scritto Un borghese piccolo piccolo, romanzo che gli piacque molto, lui era appena passato dalla Garzanti all'Einaudi. Non c'era un'aria piacevole in Garzanti, così Pasolini si trasferì all'Einaudi, ma non volle influenzarmi in alcun modo e mi consigliò di scegliere autonomamente. Io mi ricordai di quando, da studente, andai con lui a fare un giro per Roma a vedere le vetrine delle librerie (era il momento in cui era appena uscito il suo libro Ragazzi di vita); girammo per librerie e vedemmo la copertina del suo libro. Quel giorno mi accorsi che lui era emozionatissimo. Quel genere di emozione anni e anni dopo la volli provare anch'io. Era il mio primo libro e allora, senza esitare, scelsi Garzanti.»
Viveva il compito dello scrittore con grandissimo impegno, un impegno costante da non interrompere mai: un allenamento continuo.
Quando si scrive un romanzo, anche solo una riga, ma almeno una riga ogni giorno la si dovrebbe scrivere. Perché solo così si "riaccende" tutto, rientri in possesso della materia e vai avanti: se quella riga viene male, non fa niente, il giorno dopo la tagli e ricominci. Se invece per molti giorni non si scrive, si dovrà ricominciare sempre da capo. Così, per lo meno accade a me. Io scrivo un romanzo ogni sette, otto anni perché ci lavoro davvero ed è molto, molto faticoso.
E sulle preferenze e la formazione letteraria, rispondeva così:
Essendo un narratore preferisco i narratori, quindi tutto il romanzo russo, tutto il romanzo francese, il romanzo inglese. Non faccio "letteratura letteraria", cerco il racconto, quindi amo soprattutto questi autori. Da un punto specifico della poetica, invece, viaggio tra alcuni opposti, da Pinocchio a Kafka, oppure a Tozzi. Credo che questa parte di secolo l'estetica sia tutta basata sull'attraversamento in verticale degli stili e dei generi. Per cui nei testi c'è insieme ironia, comicità, cattiveria, violenza e c'è il sublime e lo sporco. Anche quando faccio il teatro musicale metto insieme Bach e lo Zecchino d'Oro. Mi piace fare questi pastiche.
Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai:
non l'ho mai detto, e non te lo dirò mai -
nell'amor le parole non contano: conta… la Musica
Che musica ascolti?
Sono stato molto vicino a Nicola Piovani, fin da ragazzo. Lui conosce alla perfezione le canzoni napoletane dell’800 o del ‘700 e a memoria tutti gli accordi di Mozart o di Mahler... la mia educazione musicale invece è pop e molto edonistica: mi deve piacere, devo stare bene nel sentirla.» Non solo un approccio intellettuale... «La musica non è la mia professione, rappresenta solo una compagnia.
Tra gli autori classici?
Ascolto soprattutto Offenbach... Il mio amore per Offenbach mi ha dato l’idea de La vita è bella.» Cantautori italiani? «De André naturalmente. Ma il più grande professionalmente, a mio giudizio, è Paolo Conte, che giudico anche il poeta vivente più all’avanguardia in senso lato, quello più importante perché i suoi testi possono vivere autonomamente. Leggendoli si scopre quanto siano meravigliosi, evocatori. Con la sua musica ha creato un genere nuovo, senza copiare nessuno: ha percorso una strada totalmente nuova.
Cantautori stranieri?
Non posso non citare il mio amico Tom Waits: gli ultimi due album li conosco a memoria. Se ricordate, ha anche fatto con Roberto Benigni Daunbailò (Down By Law): è una persona straordinaria. Spazia dal melodico all’hard, è molto vario.» Gruppi? «Sono appassionato dei Radiohead. Anche i Rem mi piacciono. So che loro hanno molto amato La vita è bella e questo me li rende ancora più simpatici. Non sono un grande pignolo ma amo ascoltare buona musica e sono aperto alle novità.
Quando vai al ristorante cosa ti piace mangiare?
«I primi, solo i primi e li cucino benissimo. Mangio poco per problemi di salute, ma mangio sempre i primi e soprattutto mi piace cucinarli. Io sono bravissimo nelle paste asciutte, Nicola Piovani è straordinario nelle minestre, che sempre primi sono. I primi sono un’arte, come pasta e patate, pasta e broccoli o i maltagliati con il brodo… quando parlo dei primi mi riferisco soprattutto alle paste perché il riso invece non mi appartiene culturalmente: sono romano.»
Non mangi riso?
Lo mangio solo quando vado a Milano, preferibilmente quello saltato perché ricorda la pasta al forno napoletana e la frittata di pasta, che è una delle cose più buone che si possano assaggiare.
Dunque ti piace la cucina napoletana…
A Napoli la cucina è molto raffinata, basti pensare ai pranzi pasquali dove compare una pasta fatta con i capellini al forno, croccante, con la cannella e uno straordinario sapore agro dolce. Per me la migliore cucina del mondo è proprio quella napoletana: per raffinatezza, per sapori e odori, per varietà, per la scelta del pomodoro o della mozzarella, delle erbe.
Non badare troppo alla forma, Angela. Qua e là ho scritto con foga, lasciandomi prendere dall'ingordigia di raccontarti chi sono. Finalmente, dirai tu. Ho buttato sul computer parole alla cieca, liberando il più possibile la spontaneità dei pensieri. Perché di me conosci solo la maschera che ogni mattina incollo sul volto per piacerti, per piacermi attraverso i tuoi giudizi (oh, quanto silenziosi!) Non posso più rimandare quest'appuntamento con la verità. Che forse è durissima, che forse non ti piacerà. Ma devo rischiare. Se dovrai starmi accanto tutta la vita, hai il diritto di sapere chi sono veramente. L'artista è un po' mitomane, e presuntuoso.
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