Quando si viene rapiti e catturati da un libro, come mi è accaduto con Il Duca di Matteo Melchiorre, succede talvolta di sentire la necessità di mettersi in cammino seguendo le tracce e sottotracce dei passi che l’autore ha lasciato dietro di sé nel compimento della sua opera.
Si vuole entrare nell’officina della scrittura e della narrazione e quello che viene delineandosi è un profilo sentimentale dell’autore, fatto d’ombre di emozioni e suggestioni nate con la lettura.
Scrittore e scrittura si confondono magistralmente nelle pagine di questo storico e ricercatore (attualmente anche direttore della Biblioteca del museo e dell’archivio storico di Castelfranco Veneto), dove le rigorose analisi e approfondimenti accademici non appesantiscono mai la narrazione, ma la trascinano in un’ammaliante avventura. E questo vale anche per i testi letterari che precedono il suo ultimo, bellissimo libro pubblicato da Einaudi.
Due passi, a ritroso...
Nella Storia di alberi e della loro terra (Marsilio editore), che raccoglie anche un piccolo libro del 2004, Requiem per un albero, vengono affiancate illustri presenze arboree della sua terra, che sotto lo sguardo dello scrittore hanno trovato dimora nella memoria divenuta racconto, poiché, scrive Melchiorre, "come spesso accade, un libro quando tratta di luoghi, persone e vicende reali, smuove fuori altri racconti dalla memoria individuale e collettiva. Suggerisce ampliamenti di sguardo”. In questo libro un vecchio olmo, caduto per un colpo di vento, mette in moto i ricordi di un intero paese che rende omaggio, come in un vecchio rituale sacro, a quello che non era un qualunque albero ma era "Alberòn. Un Olmo, un essere, per sua stessa natura conteso tra la terra e il cielo", che dava un senso di appartenenza alla comunità, un albero che era spazio, era confine e monumento, che aveva vita e sentimento e la cui perdita è vissuta e sofferta in modi differenti dagli abitanti di Tomo che sono vissuti con lui.
I legami col passato e la memoria di una società montana, il tempo perduto e le sue tracce scritte e documentate ma anche quelle più intime e leggendarie del ricordo del singolo, fanno da sfondo alle pagine di Melchiorre. L’interazione tra gli uomini e la natura, la montagna, gli alberi, i confini, i legami di sangue e le radici sono il nodo da cui passa la Storia, tra miti e documenti. E ciò che sorprende e affascina di questo scrittore è che sembra muoversi (anche quando non si racconta in prima persona ) insieme ai personaggi o pare cercare i segni, come un detective letterario, delle impronte del passato.
La sua curiosità intellettuale e conoscenza storica scavano sempre a fondo, sia quando si mette sulle tracce delle rogazioni che si snodavano per le antiche vie del paese di Tomo, sia quando, partendo da un sogno e da un dipinto inizia a ricercare la vecchia strada che metteva in collegamento Primiero e Feltre descritta nel l’affascinante libro La via di Schenèr (Marsilio editore). Ciò che smuove alla ricerca in cui si viene risucchiati è spesso anche un piccolo dettaglio insignificante: "è del resto certo che nel nostro animo vi siano cose racchiuse, dormienti, per risvegliare le quali basta un niente, una parola, una veduta, un suono, un odore, una brezza".
Melchiorre è un attento osservatore del quotidiano e dei luoghi, ma la sua sensibilità gli permette di cogliere anche le emozioni, il lato nascosto dell’apparenza e dello spazio in cui si vive; il suo talento gli consente magistralmente di far sposare immaginazione e finzione con la realtà, dando vita nei suoi scritti letterari ad un reale ampliato di senso, che si legge quasi come un romanzo filosofico o un’antica fiaba.
Così, accanto a tematiche ricorrenti quali il radicamento "che come un vischio mi tiene attaccato ai luoghi in cui vivo" e lo sradicamento, il senso del confine, la colpa e la vendetta, compaiono nei sui romanzi simboli premonitori come le cornacchie, antiche messaggere, e segnali da saper cogliere intorno a sé come presenze atte a sottolineare la continuità del presente col passato e la dipendenza dell’uomo dalla natura. Si racconta di codici antichi che ci parlano di intricate faide, di patti col diavolo, di vecchie e nuove “maschere della discordia” e di riscatto dal passato.
Melchiorre ci sembra essere sempre in cammino tra archivi e boschi, si guarda intorno, osserva, ascolta e annota, e noi rimaniamo ammaliati dalla profondità del suo sguardo e dalla sua lucidità che pare attraversare il tempo, non temendo le contaminazioni tra rigore scientifico e poesia, mentre l’indagine storica si mescola e si alimenta della leggerezza della chiacchiera e dell’incanto.
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