Prima di allora non si era visto nulla di simile. In una fase in cui la rincorsa agli effetti speciali era una lotta senza esclusione di colpi, nel mezzo di interessanti scontri sul ring tra pesi mosca o – se andava bene – welter, irruppe questo lungometraggio inatteso, peso massimo capace di deviare il percorso del fiume visivo e sonoro di fine secolo, grazie alle meravigliose idee di John Gaeta e in primis del cosiddetto bullet time che, benché fosse già stato utilizzato – in maniera più artigianale – da alcuni funambolici registi di Hong Kong (a partire dall’adrenalinico Ringo Lam), qui assurse a vera e propria meraviglia, creando di fatto un dies a quo e facendo diventare Matrix la pietra di paragone per il cinema a venire basato sugli FX.
Nella periferia di una grande metropoli, agenti di polizia cercano di localizzare un terrorista cibernetico. Per riuscirci catturano un giovane che ha avuto contatti con il gruppo terroristico. Il film ha avuto vari seguiti. "Credete nell'incredibile".
Lo stupore fu altresì maggiore poiché i due fratelli registi, Larry e Andy (ora Lana e Lilly), erano solo alla loro seconda prova, in seguito al non memorabile Bound – Torbido inganno (1996). Dopo aver scritto un soggetto da cui avevano tratto una sceneggiatura, i due registi si erano presentati dal celebre e scafato produttore Joel Silver, uno che si intendeva/intende di action-movie (basti pensare a I guerrieri della notte, 48 ore, Commando, la serie di Arma letale, Predator, la serie di Die Hard e altre decine), dopo essersi autoprodotti il primo lungometraggio.
Il resto è storia, dalle pallottole che bucano l’aria ai costumi funerei e inguainanti, dai proto-cellulari molto stilosi ai movimenti innaturali – eppure armoniosi – imposti ai corpi: il tutto incernierato di una struttura cyberpunk degna del miglior William Gibson, nella quale viene narrato che tutto è nelle mani di un Ente Sovrintendente che governa il mondo, mentre tutti gli abitanti non sono nella possibilità di capire, a parte un numero limitatissimo di soggetti e un eletto. Costui è Neo, ovvero Keanu Reeves. Accanto a quest’ultimo si schierano Laurence Fishburne, Hugo Weaving, Joe Pantoliano e Carrie-Anne Moss, ex-modella lanciata proprio da quest’opera.
La visione in sala di Matrix – che fu girato interamente a Sydney – arrivò ad essere una necessità, e pazienza se i tre seguiti sono invariabilmente a distanza siderale dal primo, così come gli altri tre lungometraggi non connessi alla saga: incassò quasi mezzo miliardo di dollari e fece giustamente incetta di tutti gli Oscar tecnici (montaggio, sonoro, montaggio sonoro ed effetti speciali), diventando un punto di riferimento e obbligando ogni epigono a un impietoso confronto.
Al netto della storia, che attinge da diversi spunti antecedenti, quello che rimane di questo quasi-capolavoro è lo stupore virginale con cui si è assistito alla sua prima proiezione, quando nulla sembrava più prodromico dell’arrivo del nuovo millennio che la visione di questo racconto avvolto nel lattice nero e nella dura musica tambureggiante dei Rammstein, di Marylin Manson, dei Prodigy e molti altri.
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