Perché il 17 aprile? Perché nel 1996, i contadini brasiliani del Movimento dei lavoratori senza terra avevano cominciato una protesta. Chiedevano l’appropriazione federale di un ranch di proprietà privata che avevano occupato, e su cui avevano costruito un campo che ospitava tremila famiglie. Sono terre improduttive, ma significano molto per i sem terra, per i loro bambini e per il loro futuro. Avevano deciso, per quel giorno, di manifestare bloccando un pezzo dell’autostrada PA-150, quella che al chilometro 95 passa per Eldorado do Carajás, una cittadina nello Stato del Parà.
La lotta dei senza terra è una lotta che va avanti da secoli, che prende forme diverse ed è sempre in conflitto con ciò che vuole sfruttare i lavoratori agricoli o privandoli del frutto della loro fatica, o opprimendoli fino a ucciderli. Il 17 aprile del ’96, il segretario di Stato della sicurezza pubblica, Paulo Sette Câmara, impartiva alla polizia militare l’ordine di sgomberare l’autostrada a qualsiasi costo, e il prezzo fu alto: si cominciò a sparare sui manifestanti, inermi, disperati, che si diedero subito alla fuga.
Cominciò un inferno. Il primo a essere ucciso dalle raffiche di mitragliatrice fu Amâncio Rodrigues dos Santos, un uomo sordomuto che non poteva sentire gli spari e si era avvicinato ai poliziotti sventolando una bandiera. Mentre uomini, donne e bambini fuggivano, i proiettili raggiungevano i manifestanti alle spalle e li lasciavano feriti a terra, ma l’autostrada era sgombra. Furono 19 i morti diretti, due morirono in seguito alle ferite riportate. Ecco perché il 17 aprile: perché quel giorno si comprese quanto la lotta dei contadini, di quegli uomini e donne senza nulla, neppure la terra che lavoravano, rappresentasse un’urgenza nel mondo che tanto si diceva civile.
Quella fu, come sempre accade, un’accelerata a processi necessari, dovuti, per cui si era a lungo combattuto. Ci è voluta una strage perché si cominciasse a parlare in maniera strutturale del problema dei lavoratori agricoli, problema che si andava a intersecare – e si va tutt’oggi a intersecare – con ben altro, dal capitalismo all’agribusiness, al cambiamento climatico, allo sfruttamento dei nuovi latifondisti. Oggi più che mai serve parlare di sovranità alimentare, e serve farlo con competenza, per non lasciare il tema in mano al populismo delle destre. Occorre discutere di politiche agricole che non servano solo come bandiera dei partiti, ma che diventino pratiche per favorire la crescita economica e il benessere di chi vi partecipa.
Il ministro Lollobrigida ha di recente detto che il lavoro agricolo non è svilente, e queste parole sono sacrosante. Ma il punto è un altro, ovvero che il lavoro agricolo è, da sempre, soggetto ai mutamenti esterni, siano questi i capricci del clima o delle grandi industrie che impongono prezzi e modalità di lavoro ed esigono un’efficienza innaturale. Il lavoro agricolo non è svilente, è poco tutelato, è dominato da interessi che nulla hanno a che fare con il benessere dei suoi lavoratori, il primo anello della nostra economia.
Che questa Giornata della lotta contadina sia un promemoria per tutte e tutti a non lasciare indietro chi ci permette, ancora oggi, di poter scegliere tra il lavoro agricolo e tutto il resto. Perché non ci dimentichiamo che la lotta contadina esiste, ed esisterà finché il lavoro agricolo non otterrà la parte – fondamentale – che nel nostro sbilenco sistema economico merita.
Di
| Carocci, 2022Di
| 4Punte edizioni, 2022Di
| Infinito Edizioni, 2008Di
| nuovadimensione, 2007Ti potrebbero interessare
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