La redazione segnala

La pace non è un gioco da ragazzi

Appena è scoppiata la guerra in Ucraina mi hanno chiesto di partecipare a un incontro per ragazzi e insegnanti a cui erano invitate le scuole italiane. C’era un’emergenza: come la spieghiamo questa faccenda ai bambini e ai ragazzi? Nel suo libro Lucio Caracciolo sarebbe arrivato a dire La pace è finita (La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa). Un titolo forte, speriamo in parte provocatorio, ma di certo dopo tanto tanto tempo la guerra entrava di colpo nelle nostre vite di europei e ci entrava ogni giorno.

C’era insomma bisogno di parlarne tutti insieme e trovare le parole per farlo con bambini e adolescenti. È emerso presto chiaramente che le parole sono scivolose, sfuggenti. Basti pensare a quanto gli alunni siano rimasti confusi quando le insegnanti hanno fatto loro analizzare il discorso di Putin dopo l’invasione dell’Ucraina. Hanno notato subito come la parola guerra non fosse mai pronunciata. Operazione militare speciale - quella era la formula scelta dal leader russo per spiegare - era un’espressione inafferrabile, in contrasto con il glossario che veniva normalmente proposto in quei giorni da ogni media, da ogni social. E poi libertà, difesa, paura. Parole che nascondevano doppi fondi, vocaboli da smontare e rimontare per capirli veramente, per farne buon uso.

La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa

Quando crollò il Muro di Berlino, i cantori della vittoria dell'Occidente nella Guerra fredda annunciarono la fine della storia e l'inizio della pax americana. Noi italiani assieme ad altri europei ci abbiamo creduto, immaginando l'Europa al centro di un utopico impero universale del diritto e della pace.

Il racconto però che più mi ha spiazzato nello smarrimento davanti al conflitto è quello di un ragazzino a cui è scappato, con molta semplicità, che forse la guerra in fondo era bella. Spiazzante era la prospettiva, una prospettiva orrenda ma comprensibile, basti pensare ai giochi dell’infanzia, una prospettiva che nessun adulto sano di mente avrebbe espresso con tanta semplicità. Del resto da Omero a Boccioni, da Ballard a Mad Max la narrazione bellica è affascinante. E allora una domanda diventa cruciale: al di là degli aspetti etici e politici, abbiamo saputo costruire una narrazione della pace - per i bambini, per i ragazzi, per tutti - che non sia solo assenza? Assenza di conflitto, di tensione, di combattimento. Temo di no, non abbastanza comunque.

Michela Murgia ci ha messo in guardia più volte dall’invadenza della metafora bellica nel raccontare e nel definire la malattia e anche la politica. Ci ho pensato in questi giorni e mi sono detto che tutto sommato Invictus di Clint Eastwood era un bellissimo film sulla pace, per dirne uno. Niente affatto. Invictus è un film sul processo di pacificazione di Mandela in Sudafrica dopo l’Apartheid, non sulla pace. E così mi si sgonfiavano in testa tutti gli esempi che mi venivano in mente. Allora forse la questione è che il concetto di pace va catturato di sguincio. Harper Lee l’ha fatto. Il buio oltre la siepe non è solo un romanzo di denuncia del razzismo nel sud degli Stati Uniti è un’infinita e paziente ricerca di mettersi nei panni dell’altro, anche del più retrogrado contadino che usa la violenza verbale e fisica, perché quell’intolleranza può nascere dalla povertà e dall’ignoranza.

Allora raccontare la pace diventa raccontare il dubbio, non stancarsi di comprendere l’altro, e lì la letteratura con il gioco dei punti di vista può fare miracoli. Parlare di pace è rispettare e provare a esplorare l’altro da noi, è curiosità, è mettersi in gioco di continuo. Perché ragionare con i ragazzi di pace non può essere solo fargli cantare Imagine a Natale con i berretti bianchi e rossi nelle feste a scuola con panettone e pandoro.

Il buio oltre la siepe
Il buio oltre la siepe Di Harper Lee;

In una sonnolenta cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti l'avvocato Atticus Finch è incaricato della difesa d'ufficio di un afroamericano accusato di aver stuprato una ragazza bianca. Riuscirà a dimostrarne l'innocenza, ma l'uomo sarà ugualmente condannato a morte.

Oggi il racconto della scienza ci sta provando a sporcarsi le mani e a ricostruire, a far rivivere criticamente i momenti in cui la pace è stata conquistata, sbandierata oppure profanata. Oppenheimer di Nolan prova a interrogarsi se i più di 200.000 morti di Hiroshima e Nagasaki siano stati davvero martiri necessari per ottenere una pace duratura. In libreria sta per uscire per Adelphi Maniac del cileno Benjamin Labatut che parla del calcolatore universale, concepito da John von Neumann e basato sulla macchina di Turing alla fine della seconda guerra mondiale, di un mondo nuovo da costruire e degli spettri dell’estinzione e della guerra termonucleare.

La scienza ha un’urgenza sua propria per le scelte etiche che deve affrontare ma questo sforzo dovrebbero provare a farlo tutti i rami del sapere. Capire, interrogarsi. La strada per la pace è complicata, domande senza risposte a cui tornare e ritornare nei decenni con il coraggio del dubbio. Non credo che ci siano sconti possibili.

Per una bibliografia sulla pace

Lettere contro la guerra

Di Tiziano Terzani | TEA, 2019

La pace. Scritti di lotta contro la guerra

Di Cesare Zavattini | La nave di Teseo, 2021

Giovane, hai paura?

Di Umberto Galimberti | Marcianum Press, 2014

Le conseguenze economiche della pace

Di John Maynard Keynes | Adelphi, 2007

Una piccola pace

Di Mattia Signorini | Feltrinelli, 2022

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